venerdì 31 maggio 2013

IL PUNTO DELLA SITUAZIONE IN TURCHIA

Foto Alumbis / Flickr
L'intervista a Marta Ottaviani, corrispondente dell'agenzia TMNews e collaboratrice del La Stampa e di Avvenire, per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda ieri a Radio Radicale.
Un punto sulla attuale situazione politica interna della Turchia e il conflitto in Siria, il problema dei profughi, il recente attentato di Reyhanli, gli errori del premier Erdogan, la sua recente visita a Washington e il colloquio con il presidente Obama, gli sviluppi della trattativa con il Pkk per risolvere la questione curda, il possibile rilancio del negoziato per l'adesione all'Unione Europea.



Aggiornamento del 4 giugno: l'intervista è stata realizzata mercoledì 29 maggio e quindi prima dello scoppio delle proteste per il parco Gezi di Istanbul poi dilagate in molte altre città.

giovedì 30 maggio 2013

IL VENTENNALE DEL TRIBUNALE INTERNAZIONALE PER L'EX JUGOSLAVIA

Di Marina Szikora
Sabato scorso, 25 maggio, ricorreva il ventesimo anniversario dell'istituzione del Tribunale internazionale che giudica i crimini commessi in ex Jugoslavia (ICTY). Un anniversario che indubbiamente ha suscitato valutazioni diverse e contrastanti per quanto riguarda la missione, compiuta o meno, di questo organo di giustizia internazionale, vale a dire i processi e le condanne dei responsabili dei piu' atroci crimini commessi in ex Jugoslavia, nonche' il contributo del Tribunale alla riconciliazione nella regione e allo sviluppo della giustizia internazionale.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il 25 maggio 1993, con la risoluzione 827 aveva deciso l'istituzione del Tribunale per fermare la guerra, punire i responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario e creare i presupposti per la riconciliazione nella regione. Per il lavoro del Tribunale, da allora fino ad oggi, la comunita' internazionale ha speso circa due miliardi di dollari. Dalla sua istituzione, l'ICTY ha incriminato 161 persone per gravi violazioni di diritto umanitario commesse tra il 1991 e il 2001. Sono stati conclusi processi contro 136 imputati mentre sono ancora in corso quelli contro 25 persone.
Davanti ai giudici dell'ICTY, si sono trovati alcuni dei piu' importanti responsabili della guerra in ex Jugoslavia, come l'ex presidente della Serbia, Slobodan Milošević, morto in carcere durante il processo per i crimini commessi in Bosnia Erzegovina, Croazia e Kosovo. Poi, l'ex presidente della Republika Srpska, Radovan Karadžić, e l'ex comandante dell'esercito serbo-bosniaco, Ratko Mladić. L'ICTY ha stabilito la responsabilita' per crimini commessi nell'ambito di impresa criminale congiunta della leadership della Serbia e della Republika Srpska.

Valutazioni contrastanti, sottolinea l'agenzia croata Hina, non sono soltanto quelle nella regione bensi' anche per quanto riguarda la comunita' internazionale. Ogni anno alle riunioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU dedicate al lavoro dell'ICTY ci sono opinioni divise degli stati europei e degli Stati Uniti da una parte, che tradizionalmente appoggiano e difendono il lavoro del Tribunale, e della Russia dall'altra parte che critica apertamente il Tribunale, mentre con una posizione di mezzo vi e' la Cina la quale ritiene che l'ICTY deve rispettare il principio di imparzialita', indipendenza e stato di diritto.

Per quanto riguarda la regione, il lavoro del Tribunale viene maggiormente criticato e negato in Serbia. Ne e' la miglior dimostrazione l'intervento del presidente serbo Tomislav Nikolić alla scorsa riunione dell'Assemblea Generale dell'ONU. In quella occasione, Nikolić ha paragonato i processi all'Aja con l'inquisizione accusando il Tribunale di essere del tutto ingiusto nei confronti del popolo serbo, della Serbia e degli imputati serbi. Secondo Nikolić vi e' "un'atmosfera di linciaggio verso tutto quello che e' serbo" e questa corte, afferma il capo dello stato serbo, con una giustizia selettiva non ha contribuito e in nessun modo aiutato la riconciliazione nella regione. Il vicepresidente del governo serbo Aleksandar Vučić da parte sua ha accusato l'ICTY di non aver punito nessuno per i crimini commessi contro i serbi in Croazia e che davanti a questo tribunale non si e' trovato a rispondere nessun alto funzionario della Croazia o della BiH anche se, come afferma Vučić, "ci sono stati crimini da tutte le parti". Stesse opinioni condivide anche il rappresentante serbo della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, Nebojša Radmanović secondo il quale l'ICTY tratta ingiustamente le vittime serbe e punisce soltanto gli imputati serbi.
Va detto che il lavoro dell'ICTY e' stato per anni criticato anche in Croazia e va ricordato che i problemi relativi alla collaborazione della Croazia con questa corte internazionale sono stati uno degli ostacoli principali sul cammino del Paese verso l'adesione all'Ue. Le sentenze di liberazione dell'anno scorso ai generali croati Gotovina e Markač, secondo i sondaggi, hanno cambiato in senso positivo l'opinione pubblica croata nei confronti del Tribunale dell'Aja.

In questo penultimo anno del suo lavoro, al Tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia sono ancora in corso alcuni processi di primo grado: contro Karadžić, Mladić e Hadžić. Ieri sono state pronunciate le sentenze di primo grado a "Prlić ed altri", mentre ancora in attesa quelle a "Stanišić e Simatović" nonche' il caso "Šešelj". Va sottolineato che il record in assoluto in quanto lunghezza di processo e' quello contro il leader degli ultranazionalisti radicali serbi, Vojislav Šešelj, che si trova sotto processo da ormai dieci anni.
I processi contro Mladić e Hadžić non saranno terminati entro il 31 dicembre 2014 quando, secondo la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, si dovra' concludere il lavoro dell'ICTY. Mancheranno anche i processi di appello in altri, soprannominati casi e questi processi saranno consegnati al cosidetto meccanismo residuale del Tribunale che concludera' il lavoro non terminato e iniziera' ad operare il primo luglio 2013.

Il procuratore generale del Tribunale dell'Aja, Serge Brammertz ritiene che l'ICTY e' riuscito a portare tutti gli imputati davanti alla giustizia, il che non ha soltanto assicurato la responsabilita' individuale per gli imputati di crimini, bensi' anche dati relativi alle vicende che potrebbero essere un ostacolo nell'eventuale revisione della storia. "Siamo riusciti a far vivere gli obbiettivi della Risoluzione 827 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Siamo riusciti, nonostante tutto, a portare davanti alla giustizia tutti quelli che il Tribunale dell'Aja ha accusato e sollevare fortemente i principi della giustizia internazionale che non saranno spezzati facilmente" ha detto Brammertz nel suo intervento in occasione dell'anniversario del Tribunale. Ha aggiunto inoltre che sono visibili annunci di revisione nelle dichiarazioni pubbliche di alcuni politici nei paesi dell'ex Jugoslavia i quali ancora, persino oggi, glorificano oppure negano i crimini di guerra – alcuni vanno cosi' lontano da negare il genocidio a Srebrenica. "Questi commenti destano preoccupazione e al tempo stesso rilevano il ruolo fondamentale della giustizia internazionale" ha osservato Brammertz aggiungendo che "la politica di condizionamento degli stati membri dell'Ue con riferimento alla piena collaborazione con il Tribunale dell'Aja, dimostra che la giustizia internazionale ha maggiori possibilita' di prevalere quando vi esiste un appoggio politico forte e sollecitazioni positive per la collaborazione". Brammertz ha rilevato che e' un successo il fatto che sono stati efficacemente trasferiti molti processi di crimini di guerra alle procure nazionali nei paesi dell'ex Jugoslavia.

Il sito ufficiale del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia


Al processo di pacificazione e di riconciliazione nell'ex Jugoslavia, dopo i conflitti, le tragedie e i crimini degli anni '90, e al ruolo svolto dal Tribunale internazionale è stata dedicata la quarta puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est "Racconta l'Europa all'Europa", realizzati nell'ambito del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso.

Ascolta la puntata


Il TPI dell'Aja ha contribuito alla riconciliazione in ex Jugoslavia?
Leggi il dibattito on-line svoltosi dal 28 febbraio al 5 marzo 2013 sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso

KOSOVO: BELGRADO APPROVA IL PIANO DI APPLICAZIONE DELL'ACCORDO DI APRILE

di Marina Szikora
Domenica 26 maggio, il governo della Serbia, ne corso di una seduta straordinaria, ha approvato il rapporto per l'elaborazione del piano di implementazione dell'accordo che Belgrado e Priština hanno raggiunto a Bruxelles, nonche' il piano di implementazione del primo accordo sui principi che regolano la normalizzazione delle relazioni tra le due parti. Il governo serbo rileva pero' che si tratta di un documento che non pregiudica lo status del Kosovo. Di questo, il premier serbo Ivica Dačić ha informato subito l'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton. Nella sua lettera, il premier sottolinea che il governo della Serbia ritiene che l'approvazione del piano di implementazione, come anche le necessarie modifiche della legge che sono indispensabili per l'attuazione del primo accordo, apriranno le porte affinche' il contenuto politico degli sforzi durati diversi mesi possa dare risultati che corrispondano agli interessi e alle aspettative dei cittadini e di tutte le parti incluse nel processo.

Il governo della Serbia ritiene che la nomina del comandante regionale della polizia al nord del Kosovo dara' un contributo visibile alla fiducia e stabilizzazione delle circostanze politiche e al rafforzamento della sicurezza in tutto il territorio del Kosovo. Il governo serbo indica che il piano di implementazione del primo accordo nonche' il raggiungimento di tutti gli accordi precedenti e futuri e la loro attuazione non violano il confermato principio della neutralita' di status in tutte le fasi dell'attuazione, si legge nella lettera serba inviata a Catherine Ashton. Il pemier serbo Dačić ha tenuto importante confermare che i colloqui di Bruxelles tra Belgrado e Priština sono dal punto di vista dello status del Kosovo neutrali, vale a dire che non pregiudicano il futuro status del Kosovo e che i colloqui con i rappresentanti della comunita' internazionale proseguiranno. Nella stessa seduta il governo serbo ha respinto le dimissioni del direttore dell'Ufficio serbo per il Kosovo, Aleksandar Vulin, secondo il quale l'accordo, come si constata, non e' riuscito a soddisfare le richieste e le aspettative dei serbi in Kosovo.

I capi dei governi della Serbia e del Kosovo, lo scorso 19 aprile, hanno siglato a Bruxelles l'accordo sulla normalizzazione delle relazioni e il parlamento serbo, con una maggioranza di voti, aveva poi approvato l'accordo una settimana dopo. I team negoziali di Belgrado e Priština si sono poi riuniti diverse volte per accordarsi sul piano di attuazione che rappresenta la condizione per il proseguimento del processo di integrazione europea: per la Serbia si tratta di ottenere la data dell'inizio dei negoziati di adesione all'Ue, mentre il Kosovo deve ottenere l'apertura del negoziato per l'Accordo di stabilizzazione e associazione, primo passo formale nel processo di adesione..

Piu' che soddisfatto il ministro degli Esteri serbo, Ivan Mrkić, dopo la cena che si e' svolta lunedi' sera presso la Direzione europea per gli Affari esteri a Bruxelles. Oltre ai ministri degli esteri dei Ventisette, vi hanno partecipato anche i capi delle diplomazie di Croazia, Turchia, Macedonia, Montenegro e Islanda. Come precisato da Mrkic, la Serbia e il dialogo tra Belgrado e Priština sono stati i temi dominanti nel corso di questa serata e secondo le sue parole, tutti quelli che sono intervenuti, compresa Catherine Ashton, "hanno parlato in superlativo della politica estera serba". Mrkić ha sottolineato che le mosse della Serbia, secondo l'opinione generale, sono giuste, nell'interesse dei serbi kosovari e del futuro serbo. Il ministro degli Esteri serbo si e' detto personalmente convinto che la Serbia a giugno otterra' la data per l'inizio dei negoziati di adesione all'Ue. Per quanto riguarda l'atmosfera nella regione, ha precisato Mrkić, vi e' una comune opinione che si e' creata un'atmosfera che non c'era nel passato.


Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi 30 maggio a Radio Radicale

QUI TIRANA

Gli argomenti della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi 30 maggio e che è possibile riascoltare sul sito di Radio Radicale.

Albania: un sondaggio di Ipr Marketing per Tv Ora mostra che la maggior parte degli albanesi ha poco interesse per la campagna elettorale per le elezioni del 23 giugno anche se questa volta la maggior parte dei rappresentanti politici sembra evitare gli insulti e gli attacchi personali agli avversari politici per confrontarsi sui programmi. Nel frattempo il premier Sali Berisha ha convocato una seduta parlamentare per la possibile votazione delle tre leggi di riforma richieste dall'Unione Europea.

Kosovo: gli albanesi sono scesi in piazza per protestare contro la missione civile europea Eulex e i processi contro gli ex comandanti dell'Uck. In un programma televisivo rappresentanti ed esperti serbi e albanesi si sono confrontati sul modo di rilanciare il complesso minerario di Trepca, a Mitrovica, nell'interesse di entrambi le parti.

Macedonia: la situazione della vicenda delle domande di asilo e le preoccupazioni da parte della Germania, dell'Austria, dell'Olanda e della Gran Bretagna che hanno chiesto alla presidenza di turno irlandese dell'Unione Europea di portare la questione alla prossima riunione dei ministri della Giustizia e degli Interni dei Ventisette.


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 30 maggio. La trasmissione è ascoltabile qui sotto oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale



Sommario della puntata

Albania: continua senza particolari asprezze la campagna elettorale mentre i sondaggi segnalano il poco interesse dei cittadini per le elezioni del 23 giugno; il parlamento di Tirana discute le tre leggi di riforma richieste dall'Ue.

Kosovo: Belgrado e Pristina approvano il piano per l'applicazione dell'accordo del 19 aprile, la Serbia spera nell'apertura dei negoziati di adesione all'Ue ma i serbi del Kosovo rifiutano ogni intesa; i kosovari albanesi protestano contro Eulex e i processi a ex comandanti dell'Uck; confronto televisivo tra economisti serbi e albanesi sul rilancio del controverso complesso minerario di Trepca.

Turchia: la crisi siriana, la situazione politica interna, il processo di pace don il Pkk, le relazioni con l'Ue e il negoziato di adesione; intervista a Marta Ottaviani, corrispondente di TMNews.

Macedonia: la questione dei richiedenti asilo e le preoccupazioni dell'Unione Europea e di diversi governi europei.

L'apertura della trasmissione è dedicata al ventennale dell'istituzione del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia.



sabato 25 maggio 2013

BONINO: L'EUROPA FEDERALE ORA O MAI PIU'

"Prendo sul serio il presidente Hollande sulla disponibilità francese a una rivisitazione dell'Europa nel senso di un'unione politica, come chiede anche la cancelliera tedesca Merkel. Iniziamo a discutere, l'Europa federale ora o mai più». Lo dice al Corriere il ministro degli Esteri, Emma Bonino. II ministro degli Esteri rilancia il progetto di integrazione in versione leggera. «In comune solo le cose che contano: esteri, difesa, sicurezza, fiscalità, tesoro"

di Paolo Valentino - Il Corriere della Sera - 19 maggio 2013

ROMA - «Prendo molto sul serio l'apertura di François Hollande. Quali che siano le ragioni che l'hanno ispirata, per la prima volta Parigi segnala la disponibilità a una rivisitazione dell'Europa che mi fa molto piacere, perché fino a poco tempo fa era tabù anche solo parlare di modifiche ai Trattati. E ovvio che le cose ipotizzate dal presidente francese presuppongano per lo meno una revisione dei patti esistenti. Ma se si ammette il bisogno di una riconsiderazione complessiva delle istituzioni e delle politiche, allora si apre lo spazio per discutere se vogliamo un'Europa intergovernativa, come temo Hollande abbia ancora in testa, oppure se ne vogliamo una federale».
Anche da ministro degli Esteri, Emma Bonino non dissimula il suo codice genetico «radicale, spinelliano e federalista», riproponendo quella posizione ostinatamente tenuta per tanti anni in minoranza, insieme a un minuscolo drappello di visionari dell'Europa. «E' una posizione storicamente mia - dice nella prima intervista concessa dal suo insediamento alla Farnesina
- ma è anche quella dell'Italia, visto che di Stati Uniti d'Europa ha parlato il presidente Enrico Letta al momento della fiducia».
Giuliano Amato dice affettuosamente che lei è «sempre troppo avanti coi tempi». Il rilancio dell'Europa federale è stato il tema conduttore del suo esordio alla guida della diplomazia. In Parlamento e poi all'Università europea, lei ha parlato della necessità di «un nuovo spartito», indicando il federalismo come uno dei temi centrali della prossima presidenza italiana della Ue nella seconda metà del 2014. Non rischia di essere una fuga in avanti?
«No, se si riconosce che l'Europa sia in una situazione insostenibile. Prendiamo l'esempio dell'Unione bancaria, decisa più di un anno fa. Ancora non ci siamo, perché la governance non funziona e quindi non possono funzionarne le politiche. Il tempo non è elemento marginale: una cosa che va bene ora, non funzionerà tra 5 anni quando il mondo sarà andato da un'altra parte. La tesi secondo cui austerità e tagli da soli avrebbero portato alla crescita, a trattati vigenti viene smentita da tutte le parti. Avere i conti a posto è importante e in Italia lo abbiamo fatto, anche grazie al governo Monti. Ma i costi economici sono alti (per tutti, compresa prossimamente la Germania) e a questi si aggiungono quelli politici, perché assistiamo allo sviluppo di populismi ed euroscetticismi che assumono dimensioni preoccupanti, trasformandosi poi in nazionalismo e razzismo, da cui la nostra Storia ci mette in guardia».
Ma perché l'opzione intergovernativa non funzionerebbe?
«Perché a forza di andare avanti sulla strada dell'Europa delle patrie, si distruggono pure le patrie. Non riesci neppure a governare una crisi relativamente piccola come quella di Cipro. Sono federalista per convinzione e non conosco altro sistema istituzionale al mondo in grado di tenere insieme in democrazia, Stato di diritto e diversità 500 milioni di persone di lingue e storie diverse. E non è una cosa esotica, lo abbiamo vicino, in Germania, dove funziona. Non è pensabile cedere ulteriori competenze senza una accountability democratica, senza che il presidente sia eletto, senza che il Parlamento europeo, magari integrato da quelli nazionali, possa votare la sfiducia. Non esiste una capacità di bilancio e imposizione fiscale senza risvolto del controllo democratico, che fra l'altro non è limitato solo all'aspetto economico».
Cosa vuol dire?
«Che esiste nell'Europa attuale anche uno spread di diritti civili. Per esempio sul tema delle carceri e della giustizia in Italia, o della democrazia costituzionale in Ungheria. Non esistono cioè strumenti seri di correzione. Abbiamo criteri economici forti per entrare nella Ue, meccanismi di monitoraggio efficaci: procedure d'infrazione, multe, eccetera. Mentre sulla parte democratica ci sono criteri forti per l'ingresso, ma una volta dentro un Paese può cambiare la Costituzione eliminando la divisione dei poteri senza che accada nulla come è il caso a Budapest. Oppure si può essere come l'Italia, dove pare che il diritto alla difesa non esista più, perché un processo che dura io anni non è più tale».
Dove ha sbandato il progetto d'integrazione?
«Si è fossilizzato sulla moneta unica. Ci siamo fermati, aiutati dal fatto che l'euro, checché se ne dica, è stato un successo strepitoso, perfino in questo sistema imperfetto, al punto che ci si è dimenticati di andare avanti con le altre parti finché siamo sprofondati nella crisi. La moneta unica aveva una governance da bel tempo, con la tempesta non ha retto più».
Si è perso però anche il principio di solidarietà, la ragione per cui si è insieme...
«In realtà non abbiamo mai dovuto praticarlo sul serio, perché non siamo mai stati messi veramente alla prova: bastavano i fondi di coesione e le altre voci del bilancio. Questa è la prima grande crisi e l'incapacità di dare risposte fa passare il rifiuto della solidarietà dai governi ai cittadini. Popper ci ha insegnato che in crisi ognuno si rivolge all'autorità più vicina per trovare una soluzione. Per tre anni abbiamo preso misure appena sufficienti a non esplodere: troppo poco e troppo tardi. La verità è che solo un grande progetto di rilancio a tutti i livelli può appassionare qualcuno. Non credo sia più possibile rimettere insieme l'Europa con i piccoli passi. La bizzarria fantastica è che l'Europa continui a essere un magnete di attrazione per tutti i popoli non europei».
Qual è oggi l'argomento forte del bisogno d'Europa?
«Nessuno di noi da solo ha le risorse o l'economia di scala per riuscire a garantirsi un, futuro per le proprie generazioni. La visione opposta è quella autarchica e nazionalista, la tentazione di chiudere tutto che poi diventa razzista e fomentatrice di guerre. Insieme siamo più forti sul piano economico e democratico».
Il ministro delle Finanze tedesco Schäuble dice che bisogna modificare i trattati anche solo per l'Unione bancaria. È d'accordo?
«Secondo me non vale la pena. Non è vero che le piccole riforme siano più digeribili da un certo tipo di Paesi. Comunque molti di loro sono obbligati a sottoporle a referendum. E la gente non si rinnamorerà dell'Europa se gli dici che facciamo l'Unione bancaria. Già era difficile innamorarsi di una moneta. Ci sono però cose che toccano molto di più l'immaginario popolare. Non mi stanco per esempio di chiedere cosa ce ne facciamo di 27 eserciti nazionali. Sono 250 miliardi di euro. Abbiamo 2 milioni di persone sotto le armi, nude, cioè non equipaggiate. Tant'è vero che ogni operazione di peacekeeping diventa un dramma: equipaggiamenti, standard diversi, sistemi d'arma diversi, in Libia dopo dieci giorni eravamo senza munizioni. Oppure le infrastrutture, la ricerca».
E la sua idea della Federazione leggera?
«Sì, con un bilancio di appena il 5% del Pil europeo: mettere in comune 4 o 5 settori, nulla a che vedere col Superstato. Il resto lo lasciamo alla sussidiarietà. Non dobbiamo diventare assolutamente omogenei. A differenza della mia amica Ulrike Guérot, secondo cui l'Europa non si fa perché non ci si mette d'accordo se è meglio pasteggiare a vino o a birra, penso che la nostra ricchezza siano proprio la birra e il vino di ognuno dei nostri Paesi. Insieme dobbiamo fare solo le cose che contano: esteri, difesa, sicurezza, fiscalità, tesoro, ricerca, infrastrutture e ci metto anche l'immigrazione. Le cifre più prudenti dicono che l'Europa avrà bisogno di 50 milioni di immigrati entro il 2050».
In che modo il governo italiano dovrà muoversi per far sì che questa apertura francese non sia lasciata cadere?
«Il punto è capire quanta disponibilità ci sia. Boutade a fini interni o meno come qualcuno dice, penso che sia quel tipo di seme che una volta gettato assume vita propria. A noi tocca curarlo, metterci l'acqua, un po' di concime. Se c'è un accordo di massima, sia pure con resistenze comprensibili, questa dovrà diventare l'agenda dei viaggi del presidente del Consiglio, del ministro degli Esteri e di quello del Tesoro. Dobbiamo attivarci in tutti i forum. Così potremo preparare un diverso tipo di elezione europea, con le grandi famiglie politiche che indichino il loro candidato alla presidenza della Commissione, dei commissari e del presidente del Consiglio, avere un diverso dibattito in grado di coinvolgere ed entusiasmare la gente».
E la Germania, uscirà dalla cautela imposta dalle elezioni?
«Capisco che la campagna elettorale abbia una sua dinamica e imponga le sue regole. Ma al netto di questo, Berlino ha sempre detto nessuna mutualizzazione del debito se non c'è cessione di sovranità. Prendiamo la Germania in parola. Se è un bluff andiamo a vederlo».

venerdì 24 maggio 2013

KOSOVO: UN ALTRO PASSO AVANTI PER LA NORMALIZZAZIONE DEI RAPPORTI TRA BELGRADO E PRISTINA

Belgrado e Pristina hanno raggiunto l'accordo sul piano di attuazione dell'intesa sulla normalizzazione delle loro relazioni raggiunta il 19 aprile scorso con la mediazione della Ue. Il premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci, al termine di due giorni di negoziato a Bruxelles con l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, hanno annunciato l'intesa di principio su un testo sul quale dovranno ora pronunciarsi i due governi.
Il nodo più delicato della questione, come si sa, è l'assetto amministrativo del nord del Kosovo, dove la maggioranza serba, sempre contraria finora ad accettare la sovranità di Pristina, ha organizzato strutture di governo parallele finanziate e gestite da Belgrado. Il premier serbo Dacic ha detto che si sta lavorando per definire tempi e modalità di creazione dell'associazione delle comunità serbe che dovrebbe portare all'abolizione delle strutture parallele.
Particolare importanza in tutto ciò hanno i dossier relativi a polizia e giustizia. Dal raggiungimento di risultati concreti e tangibili nell'applicazione dell'accordo del 19 aprile dipende, com'è noto, la possibilità che l'Unione Europea dia via libera, da una parte al negoziato di adesione con la Serbia, e dall'altra a quello per l'Accordo di stabilizzazione e associazione con il Kosovo. La decisione sarà presa dal Consiglio europeo di fine giugno.

giovedì 23 maggio 2013

KOSOVO: A BRUXELLES L'ESAME PIU' DIFFICILE PER DAČIĆ E THACI

Il premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci sono stati chiamati a Bruxelles dall'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, per chiudere l'accordo sull'implementazione della storica intesa raggiunta lo scorso aprile. Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio aSud Est andata in onda oggi a Radio Radicale ed è stato scritto prima della conclusione del vertice.

A Bruxelles questa settimana un altro incontro tra i premier serbo e kosovaro, Ivica Dačić i Hashim Thaci su invito dell'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Ue Catherine Ashton. Tema di colloqui l'implementazione del recentemente raggiunto accordo delle due parti, ovvero quello che dovra' essere implementato entro giugno affinche' la Serbia possa ricevere la tanto desiderata data dell' inizio dei negoziati di adesione all'Ue. Come precisato dal premier serbo Dačić, bisognera' appena arrivare al piano di implementazione e come spiega, per certi punti dell'accordo sara' necessario almeno un anno per la loro implementazione mentre invece per alcuni altri saranno sufficienti sei mesi. La riunione a Bruxelles e' iniziata quindi martedi' sera, prima gli incontri separati dei due premier con Cathrine Ashton e poi quello trilaterale durato fino alle ore 22. Mercoledi' la ripresa dei colloqui. A termine della prima serata vi e' stato soltanto un breve comunicato della Ashton alla stampa in cui ha espresso soddisfazione per aver potuto ospitare un'altra volta i due premier e si e' detta convinta del loro impegno sull'attuazione dell'accordo di Bruxelles.

Il professore della Facolta' di scienze politiche di Belgrado ed analista politico Predrag Simić ha commentato che il raggiungimento di un accordo sull'implementazione dell'accordo di Bruxelles sara' il lavoro piu' difficile e che i colloqui che si svolgono attualmente a Bruxelles sono i piu' difficili finora. Simić ha precisato che l'accordo di Bruxelles e' un insieme di principi che ciascuno puo' interpretare a modo suo in base ai propri interessi e che gli esperti non riescono ad oltrepassare le divergenze di posizioni. Questa la ragione perche' un'altra volta spetta a Catherine Ashton di tentare a trasformare i principi in un piano concreto che potrebbe essere implementato. "Si tratta della parte piu' complicata dei negoziati che non potra' essere implementata in una quarantina di giorni quanti ne sono rimasti fino alla fine di giugno quando dovra' essere presa la decisione sulla data dell'inizio di negoziati di adesione per la Serbia" ha spiegato l'esperto politico serbo. Simić ha sottolineato che dalla Serbia si aspetta adesso il piano e non la sua stessa attuazione, e questo, secondo lui, si e' potuto sentire anche da parte del capo della diplomazia tedesca lunedi' a Belgrado durante gli incontri con i vertici serbi.

Il ministro degli esteri tedesco Westerwelle in visita a Belgrado
Dello stesso tema quindi si e' parlato gia' lunedi' a Belgrado in occasione della visita del ministro degli esteri tedesco Guido Westerwelle alla capitale serba. A seguito del suo incontro con i vertici serbi, Westerwelle ha ribadito che se ci saranno risultati palpabili relativi all'attuazione dell'accordo con Priština, il Bundestag tedesco ricevera' da lui un segnale positivo per quanto riguarda la data dell'inizio dei negoziati di adesione per la Serbia. Come scrive il quotidiano serbo 'Blic', riferendosi a fonti bruxellesi, per la Serbia entro la fine di giugno sarebbe piu' facile compiere passi concreti relativi alle strutture di sicurezza parallele ma si potrebbero introdurre anche misure temporanee nei comuni di Zubin Potok e Zvečani dove si e' concluso il mandato degli autogoverni locali. Cio' significherebbe che si e' iniziato con l'applicazione dell'accordo relativo alle istituzioni parallele.

Per quanto riguarda la polizia, circa 150 rappresentanti dovrebbero essere integrati nelle forze di polizia kosovare, altri invece dispiegati nelle stazioni di polizia in Serbia centrale. La giustizia potrebbe far parte dell'implementazione da subito attraverso la trasformazione del tribunale comunale di Mitrovica. Va precisato che il capo della diplomazia tedesca ha chiesto categoricamente lo smantellamento delle strutture parallele serbe al nord del Kosovo. Con i vertici di Belgrado ha ribadito la necessita' di utilizzare l'occasione per prendere decisioni corraggiose di lunga portata. Per le giovani generazioni, ha rilevato Westerwelle, e' importante migliorare la situazione attraverso gli investimenti, crescita economica e apertura di nuovi posti di lavoro. Il premier serbo Ivica Dačić ha sottolineato che la Serbia non ha piu' tempo da aspettare e che ogni rinvio di decisione sulla data dell'inizio dei negoziati di adesione all'Ue puo' avere conseguenze catastrofiche per il futuro della Serbia.

CROAZIA: PER I SINDACI DECISIVO IL BALLOTTAGGIO

(Photo STR/AFP/Getty Images)
Di Marina Szikora [*]
Domenica 19 maggio, appena un mese dopo che si sono svolte le prime elezioni per i rappresentanti croati al Parlamento Europeo, i cittadini della Croazia sono tornati alle urne, questa volta per le elezioni locali. L'esito di un'altra bassa affluenza alle urne ha dimostrato che in Croazia indubbiamente continua a prevalere con molta consistenza il bipolarismo, vale a dire la prevalenza di due maggiori partiti politici della scena politica croata: il Partito Socialdemocratico (SDP), attualmente a capo della coalizione governativa, e il maggior partito dell'opposizione, l'Unione Democratica Croata (HDZ), di centro destra. Nelle 4 maggiori citta' croate i sindaci verranno eletti pero' al ballottaggio tra 14 giorni. Va precisato che i sindaci, i presidenti dei comuni e delle contee vengono eletti direttamente ma soltanto un numero minore di questi e' stato eletto gia' al primo turno domenica scorsa mentre per tutti gli altri resta l'attesa del ballottaggio che si svolgera' tra due settimane.

La risposta dei cittadini alle urne e' stata quella del 46,97 percento. Per quanto riguarda le irregolarita' esse sono state minori in modo tale da non mettere in discussione la democraticita' e legittimita' del voto. Tutte le analisi concordano che il maggiore perdente di queste elezioni locali e' il controverso sindaco uscente di Spalato Željko Kerum. La sfida per il primo uomo di Spalato sara' quella tra i candidati del SDP e HDZ. Al sindaco uscente di Spalato non ha aiutato nemmeno la recentissima e tanto discussa collocazione del monumento del primo presidente croato Franjo Tuđman vicino alla famosa Riva di Spalato come nemmeno l'imponente croce erretta sul colle di Marjan proprio nella giornata dello svolgimento delle elezioni. I socialdemocratici non sono riusciti a sconfiggere i vent'anni di potere del Sabor Democratico Istriano (IDS) in Istria con l'appoggio del dissidente di questo partito Damir Kajin. Tuttavia, Kajin spera nel buon risultato del ballottaggio per l'elezione del zupano di Istria.

Il secondo turno sara' decisivo anche per la capitale Zagabria dove gli sfidanti saranno l'attuale sindaco (che lo e' da 12 anni), l'indipendente Milan Bandić e il candidato socialdemocratico, attuale ministro della salute Rajko Ostojić. Domenica scorsa, l'attuale sindaco di Zagabria ha ottenuto comunque una notevole precedenza rispetto al candidato socialdemocratico e punta molto convinto sulla propria vittoria e riconferma di un altro mandato al ballottaggio. Nella citta' di Osijek, al secondo turno si sfideranno l'attuale sindaco Krešimir Bubalo, del partito di Branimir Glavaš che attualmente sta scontando in Bosnia la sua pena carceraria per crimini di guerra e il candidato socialdemocratico Ivica Vrkić. A Rijeka (Fiume) il secondo turno sara' decisivo per l'attuale sindaco, il socialdemocratico Vojko Obersnel e il suo sfidante, rappresentante dell'HDZ. Stessa situazione e lotta vi e' tra i rappresentanti dei due maggiori partiti a Vukovar.

C'e' da constatare che entrambi i partiti, sia il governativo Partito Socialdemocratico che quello dell'opposizione, l'HDZ proclamano la loro vittoria: i socialdemocratici affermano di essere loro i vincitori in assoluto delle elezioni locali in Croazia, al tempo stesso, il presidente dell'HDZ, Tomislav Karamarko afferma: "si puo' liberamente parlare della nostra vittoria". L'esperto politico croato Žarko Puhovski valuta che queste elezioni hanno dimostrato che il bipolarismo partitico e' di lunga durata e continua ad essere il destino politico della Croazia. "I due maggiori partiti sono pero' nella peggiore posizione vissuta mai prima: l'HDZ a causa dei diversi processi di corruzione, SDP invece perche' si trova a governare il Paese in una situazione economica molto difficile e perche' il Governo sta commettendo errori...Tuttavia, sia gli uni che gli altri continuano ad essere intoccabili. Questi due partiti in effetti dividono tre quarti della Croazia... entrambi possono dire di non aver perso queste elezioni e nessuno si puo' avvicinare a loro" commenta l'attuale situazione l'analista Puhovski.

Per quanto riguarda i risultati del voto dei rappresentanti della minoranza serba in Croazia, il Partito Democratico Indipendente Serbo (SDSS) che e' il piu' forte partito politico della minoranza serba in Croazia resta a far parte del Consiglio comunale di Vukovar. Sono la terza forza politica in loco con il 10,94 percento, preceduti dall'HDZ e SDP con i partner di coalizione. Alla minoranza serba spetta anche il posto di vicesindaco a secondo della rappresentanza proporzionale della minoranza serba nella citta' di Vukovar. Anche a Knin, SDSS sara' il secondo partito nel Consiglio comunale, preceduto soltanto dall'HDZ al primo posto e avranno altrettanto il posto di vicesindaco. I rappresentanti della minoranza serba secondo la Legge costituzionale che riguarda i diritti delle minoranze hanno eletto anche i vice zupani dalle fila della minoranza serba, laddove essi compongono l'oltre 5 percento della popolazione della contea.

[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a SudEst andata in onda il 23 maggio a Radio Radicale

VOJVODINA: LA DICHIARAZIONE DEL PARLAMENTO SUSCITA POLEMICHE E TENSIONI A BELGRADO

Di Marina Szikora [*]
Il parlamento della Vojvodina [laregione autonoma della Serbia con capoluogo Novi Sad] ha approvato una dichiarazione sulla protezione dei suoi diritti costituzionali e legali suscitando la disapprovazione e commenti negativi a Belgrado dove il documento è stato giudicato come una sollecitazione del separatismo. A favore della dichiarazione hanno votato 75 deputati della coalizione governativa di Vojvodina di cui fanno parte il Partito democratico (Ds), la Lega socialdemocratica della Vojvodina di Nenad Čanak (Lsv) e l'Alleanza degli ungheresi di Vojvodina (Svm). Contrari i 21 deputati dell'opposizione appartenenti al Partito serbo del progresso, al Partito socialista serbo, al Partito democratico della Serbia e all'ultranazionalista Partito radicale serbo, quindi tutti partiti rappresentanti al parlamento di Belgrado.
In vista del dibattito che ha preceduto il voto, il presidente del governo di Vojvodina e vicepresidente del Ds, Bojan Pajtić, ha detto che la Vojvodina non tacerà e che continuerà ad insistere sul rispetto dei propri diritti costituzionali e legali. Nel corso del dibattito il capogruppo del partito di opposizione Sns ha detto che questo partito lotta contro la creazione dello stato indipendente della Vojvodina: "Si tratta di un manifesto politico pericoloso di cui fanno parte temi più o meno pericolosi mentre alcuni sono del tutto insensati. L'intenzione più pericolosa è quella di separarci. Si approfondirà il varco tra il potere centrale e quello regionale. I ponti ormai così deboli crolleranno ed i cittadini della Vojvodina non otteranno nulla", ha avvertito Igor Mirović.
In difesa del documento invece il capogruppo del partito ungherese, Sandor Egeresi, secondo il quale la dichiarazione non ha niente a che fare con il separatismo bensì si tratta invece di piccolissima autonomia. Egeresi afferma con responsabilità che i rappresentanti della comunità di minoranze in Vojvodina sono cittadini leali della Serbia, che la Vojvodina sia tanto serba quanto ungherese, tanto rumena quanto slovacca e croata, alludendo alla sua completa e tradizionale realtà multietnica come regione specifica all'interno della Serbia.
La dichiarazione rileva che i diritti e le competenze degli organi regionali sono stati violati da parte del potere statale centrale a cui si chiede il rispetto dei diritti e degli obblighi verso la regione autonoma della Vojvodina. In più, si lancia un appello agli organi dello stato e alle istituzioni di migliorare insieme all'amministrazione regionale e ai rappresentanti dell'autogoverno locale il livello di rispetto delle procedure, diritti ed obblighi. Va precisato che il governo di Vojvodina è guidato dal Partito democratico che a livello statale è il maggiore partito di opposizione all'attuale coalizione governativa.

[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a SudEst andata in onda il 23 maggio a Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 23 maggio. La trasmissione è ascoltabile qui sotto oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale

Gli argomenti della puntata

Albania: i vescovi cattolici per la prima volta intervengono nella situazione politica e in vista delle elezioni del 23 giugno fanno appello alla responsabilità dei partiti, invitando i propri fedeli a non svendere il voto e auspicando che le elezioni si svolgano secondo gli standard internazionali. 

Albania: è arrivato a Tirana il primo gruppo di rifugiati appartenenti al gruppo dei Mujaheddin del popolo iraniano, organizzazione di opposizione al regime degli ayatollah considerata terrorista da molti Paesi occidentali. 

Croazia: il primo turno delle elezioni locali punisce il partito socialdemocratico del premier Zoran Milanovic mentre l'Hdz mantiene le sue roccaforti e il controllo di molti consigli regionali. 

Macedonia: le autorità di Skopje temono che le tensioni politiche e la situazione generale del Paese rafforzi la posizione della Grecia (sostentuta dalla Bulgaria) che blocca l'apertura dei negoziati di adesione all'Ue a causa della disputa sul nome della repubblica ex jugoslava. 

Turchia: Ankara pone condizioni in vista della seconda conferenza internazionale sulla Siria mentre scoppia un durissimo scontro tra il premier Erdogan e il leader del Chp Kilicdaroglu. 

Kosovo: il nuovo round negoziale tra il premier serbo Dacic e quello kosovaro Thaci a Bruxelles per l'implementazione dell'accordo di aprile tra Belgrado e Pristina (la trasmissione è stata chiusa prima della chiusura del vertice). Intanto le autorità di Pristina cercano di promuovere la tolleranza e la convivenza religiosa. 

Serbia: malumori a Belgrado per il documento approvato dall'assemblea della Vojvodina in favore del rafforzamento della propria autonomia amministrativa che molti giudicano come una minaccia separatista.

La registrazione integrale trasmissione è ascoltabile direttamente qui

 

giovedì 16 maggio 2013

CRISI: IL 2013 ANNO DI RIPRESA PER I BALCANI OCCIDENTALI?

Di Marina Szikora [*]
Gli ultimi dati della Banca Mondiale indicano che per i paesi dei Balcani Occidentali stanno arrivando giorni migliori, almeno per quanto riguarda l'economia. Cosi' un commento della Deutsche Welle, sezione serba, pubblicato in questi giorni. Mentre da Bruxelles avvertono ancora sulla presenza della recessione, sia nei paesi della zona euro sia nell'intera Unione Europea, con una possibilita' dell'inizio di crescita economica appena a fine anno o durante il 2014, uno dei maggiori economisti della Banca Mondiale, Željko Bogetić, un mese prima del rapporto di questa organizzazione sulle prospettive economiche dei paesi dell'Europa Sudorientale, in una intervista alla DW rivela o almeno esprime speranza che proprio quest'anno ci sara' una svolta nei Balcani. Dopo una doppia recessione durata diversi anni, il 2013 dovrebbe essere l'anno di crescita economica nei Balcani Occidentali. La sfida, secondo questo esperto, e' come mantenere questa dinamica nell'ambito di un ambiente difficile e del proseguimento della recessione nella zona euro.

L'anno precedente, prosegue l'esperto Bogetić, e' stato un anno particolarmente difficile anche a causa di fattori naturali, quali un inverno eccessivo e un'estate torrida che avevano colpito l'agricoltura nonche' il settore energetico nei paesi della regione balcanica. Gia' il primo quartale di quest'anno ha portato alla Serbia una uscita formale dalla recessione con la crescita della produzione industriale del 5,2 percento il che ha contribuito alla crescita del pil del 1,9 percento. E mentre gli uni affermano che la Grande Punto prodotta dalla Fiat in Serbia questa volta ha salvato la Serbia, dalla Banca Mondiale di Washington dicono che "il quadro generale dell'economia serba, in quanto la maggiore economia dei Balcani Occidentali ma anche l'intera regione balcanica, si sta riprendendo dalla recessione dell'anno scorso in maniera significativa a causa dell'assenza di menzionati fattori negativi ma anche a causa di concreti investimenti. Comunque sia, il ritmo generale della ripresa non e' cosi' forte e in certa misura e' limitato dalla recessione nella zona euro, afferma l'esperto economico Bogetić.

E mentre dal Governo della Serbia annunciano due miliardi di euro di investimenti entro la fine dell'anno, presso la Banca Mondiale commentano che il programma della politica economica in Serbia e' da tempo abbastanza chiaro. Si valuta che il governo di Belgrado ha iniziato adattamenti fiscali indispensabili a fin di stabilizzare le finanze pubbliche e per sollevare l'escalazione del deficit del bilancio e del debito pubblico. Tuttavia, si afferma, il debito pubblico della Serbia continua ad essere alto, il deficit deve essere abbattuto ed il primo grande lavoro della Serbia deve essere quello di resistere su questa via, afferma l'esperto economico Bogetić. Al tempo stesso, lui avverte di un altra situazione piu' difficile. Tra i paesi dei Balcani Occidentali la Serbia non occupa un posto buono per quanto riguarda il clima di investimenti secondo molti valori internazionali. Bisogna fare ancora molto per togliere gli ostacoli per il funzionamento delle piccole e medie imprese. Si tratta di problemi enormi che vanno risolti in maniera piu' agressiva, si dice in questa intervista della DW. Se cio' accadra', i risultati in termini di maggiore occupazione, maggiori investimenti e maggiore interessamento del capitale straniero per l'economia serba non manchera'. Dalla Banca Mondiale quindi sollecitano che il 2013 bisogna comprenderlo come "un anno di occasioni" perche' le riforme economiche, soprattutto sul piano di adattamento fiscale e clima di investimenti nella regione siano accelerati.

AD ANKARA VERTICE TRILATERALE TRA TURCHIA, SERBIA E BOSNIA

di Marina Szikora [*]
Mercoledi', Ankara ha ospitato la riunione dei presidenti di Turchia, Serbia e Bosnia Erzegovina. Un summit trilaterale in cui si è discusso dell'ulteriore collaborazione e delle questioni attuali nella regione. L'ospite del vertice, il presidente turco Gul, secondo le informazioni dell'agenzia turca Anadolia, ha affermato che i leader dei paesi balcanici hanno dimostrato coraggio e fermezza ad affrontare anche il passato. "Diamo grande importanza alle relazioni con la Bosnia Erzegovina e la Serbia al fine di stabilire una pace permanente e la stabilita' nei Balcani", ha detto il presidente turco, ricordando che in questo contesto lo scorso febbraio aveva incontrato il presidente della Serbia, Tomislav Nikolić, e a gennaio anche il membro di turno della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, il bosgnacco Bakir Izetbegović.
Gul ha spiegato che si sono svolti colloqui costruttivi relativi alle questioni di importanza regionale. Ricordando il passato della regione collegato con la guerra in Bosnia e quella in Kosovo del 1999, Gul ha detto che e' passato tanto tempo da questi eventi e che dopo le vicende tragiche nella regione vi e' stato un avanzamento significativo e passi avanti positivi. Secondo il presidente turco si sono aperte le porte della coscienza e comprensione che guardano al futuro e non piu' al passato. "La Serbia in questo senso ha dimostrato grande coraggio, sincerita' e fermezza", ha precisato Gul esprimendo soddisfazione per la prontezza della Serbia che si muove nella direzione di affrontare le vicende del passato. Gul ha ricordato che al centro dei colloqui c'è la dimensione economica dell' integrazione euroatlantica di tutti i paesi balcanici.
Il vertice di Ankara e' il terzo incontro trilaterale tra i presidenti di Turchia, Serbia e Bosnia Erzegovina: il primo si e' tenuto nel 2010 ad Istanbul, da quello del 2011 a Karadžordževo, in Serbia.

[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radiio Radicale.

KOSOVO: BELGRADO CERCA DI FAR ACCETTARE AI SERBI DEL NORD L'ACCORDO CON PRISTINA

Aleksandar Vucic (Tanjug)
di Marina Szikora [*]
La visita del vicepresidente del governo serbo Aleksandar Vučić al nord del Kosovo e' stata un gesto simbolico ma anche un atto che ha un valore fondamentale poiche' ha contribuito ad una migliore comprensione dell'attuale situazione. Questa la conclusione del parlamento serbo a proposito dell'annunciata e realizzata visita del vicepremier serbo Vučić in Kosovo. Secondo l'opinione del presidente della Commissione per il Kosovo e Metohija del Parlamento serbo, Milovan Drečun, a seguito del soggiorno di Vučić al nord del Kosovo, adesso "e' isolata ogni interpretazione estremista dell'accordo raggiunto" e in questo modo si apre la via per esaminare realmente anche i difetti che riguardano la parte serba come anche i pregi che porta l'accordo raggiunto tra Belgrado e Priština a Bruxelles. Secondo le parole di questo deputato serbo al Parlamento di Belgrado, rappresentante del maggiore partito governativo, il Partito Serbo del Progresso, il popolo serbo al nord del Kosovo non si puo' permettere di essere escluso dall'attuazione dell'accordo. Drečun ha aggiunto di aspettarsi che nel prossimo periodo i serbi al nord del Kosovo non creeranno problemi per quanto riguarda l'attuazione dell'accordo di Bruxelles se questa vera' precisata da un comune accordo tra Belgrado e Priština.

La maggior parte dei parlamentari serbi esprime speranza che "i concittadini e fratelli serbi al nord del Kosovo ascoltando il vicepremier hanno capito che nel 21esimo secolo le vittorie si realizzano sul piano economico". Si dicono ottimisti e credono che i serbi al nord del Kosovo abbiamo compreso i messaggi che Vučić recandosi personalmente in loco ha trasmesso loro. Belgrado spera che un passo avanti e' stato compiuto nella comunicazione e che comunque saranno necessari altri incontri ma che infine prevalga il razionalismo. Il rappresentante del Partito Liberal-democratico guidato da Čedomir Jovanović, all'opposizione, si e' detto dell'opinione che Vučić e' riuscito a convincere i serbi in Kosovo indicando che tutta la vicenda ha dato impressione che si tratti di un gruppo di gente infelice che qualcuno per anni o addirittura per decenni aveva spinto verso le barricate, ai conflitti e che evidentemente accettano difficilmente un cambiamento di politica. "E' chiaro che tra loro ci sono quelli che in questo vedono assolutamente o soltanto interessi personali e qui penso innanzitutto ad alcuni leader dei serbi kosovari, ma la base del problema e' che non vi e' sincerita' elementare che potrebbe spiegare perche' per tutti e' meglio una politica nuova" ha detto il rappresentante liberaldemocratico Đurić.

Intanto, martedi', l'alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue Cathrine Ashton ha invitato i premier serbo e kosovaro, Ivica Dačić e Hashim Thaci ad una riunione, prevista per il prossimo 21 maggio a Bruxelles a fin di discutere sull'attuazione dell'accordo raggiunto ad aprile. Una veloce attuazione dell'accordo, ha precisato Ashton, e' di importanza cruciale e si e' detta felice di poterne discutere con i due premier. Va ricordato che Dačić e Thaci hanno siglato l'accordo a Bruxelles lo scorso 19 aprile sulla normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Priština. Pero' dopo questo atto importantissimo, le due riunioni dei gruppi di lavoro per l'attuazione dell'accordo sono fallite e le due parti si accusano a vicenda per l'insuccesso di questi colloqui.

[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

PASAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 16 maggio. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.



Sommario della puntata

Bulgaria: i risultati delle elezioni del 12 maggio, la difficoltà di formare un governo, i rischi di instabilità politica e sociale. 
Albania: arrivati i primi osservatori internazionali per le elezioni del 23 giugno, mentre i sondaggi danno in vantaggio l'opposizione di centro-sinistra; la tutela delle persone Lgbt e le polemiche per le dichiarazioni omofobe di alcuni politici. 
Turchia: il viaggio di Erdogan negli Usa; la crisi siriana; il processo di pace con il Pkk; gli accordi con il Kurdistan iracheno per lo sfruttamento petrolifero; l'iniziativa diplomatica nei Balcani; i nuovi sviluppi del processo per l'omicidio di Hrant Dink; la proposta di legge per limitare il consumo di alcolici. 
Kosovo: Belgrado cerca di far accettare l'accordo con Pristina alla minoranza serba; il parlamento kosovaro bloccato dalle troppe commemorazioni di eroi e caduti della guerra del 1999. 
Balcani occidentali: secondo la Banca mondiale dal 2013 potrebbero arrivare segnali di ripresa dalla crisi economica.




lunedì 13 maggio 2013

BULGARIA: ALLE ELEZIONI ANTICIPATE RIVINCE BORISOV MA SI PREPARANO MESI DIFFICILI

Le recenti proteste in Bulgaria (Foto AP/Valentina Petrova)
Come previsto il partito di centrodestra Gerb dell'ex premier Boiko Borisov con poco più del 31 per cento dei voti ha vinto le elezioni anticipate svoltesi ieri in Bulgaria. La commissione elettorale centrale ha confermato la vittoria sul Partito socialista che avrebbe attorno poco più del 27 per cento. Solo altri due partiti sono riusciti a superare lo sbarramento del 4 per cento necessario per entrare nel Parlamento di Sofia: il Movimento per i diritti e le libertà, che rappresenta principalmente la minoranza turca, che ha preso circa il 9 per cento e il partito ultranazionalista e xenofobo Ataka con circa il 7,5 per cento. Per Gerb è un risultato significativo perché è la prima volta dalla fine del regime comunista che un partito vince due elezioni politiche consecutive, ma si tratta di una vittoria che rischia di essere dimezzata dall'impossibilità di formare un nuovo governo.

Borisov, infatti, non ha avrà abbastanza voti per governare da solo e la formazione di una maggioranza di governo non sarà semplice, visto che tutti gli altri partiti hanno escluso la possibilità di allearsi con Gerb. Se Borisov non dovesse riuscire a formare un governo, il presidente Rosen Plevneliev dovrà affidare il mandato al secondo partito, cioè ai socialisti, i quali hanno ventilato la possibilità di formare un governo di profilo tecnico guidato dall'economista ed ex ministro delle Finanze Plamen Oresharski. Dopo l'ondata di manifestazioni contro la crisi economica che nei mesi scorsi portarono alle dimissioni dell'esecutivo di Borisov, una mossa che secondo alcuni osservatori voleva prendere in contropiede l'opposizione di piazza per impedirgli di organizzarsi in un partito, l'esito del voto anticipato, come previsto, non assicura la governabilità e rischia di lasciare la Bulgaria in una situazione di instabilità continua.

Sul voto di ieri già pesano sospetti di irregolarità e brogli. Sabato la Procura aveva annunciato che, in una perquisizione in una tipografia, erano state sequestrate 350mila schede elettorali stampate in più rispetto a quelle richieste. Il leader socialista Sergei Stanishev ha parlato di "scandalo" affermando che si trattava della "preparazione di una totale falsificazione" del voto. La scorsa notte, subito dopo la chiusura delle urne, una folla arrabbiata si è riunita di fronte alla sede della Commissione elettorale urlando "Mafia". In molti, a questo punto, ritengono che le manifestazioni potrebbero riprendere, tornando, come negli scorsi mesi, a fare un tutt'uno delle proteste contro la crisi e la disoccupazione e di quelle contro una classe politica giudicata corrotta, inaffidabile e arricchita sulle spalle dei cittadini. Questo e l'instabilità politica che si preannuncia rischia di creare un cocktail esplosivo per i prossimi mesi.


giovedì 9 maggio 2013

CROAZIA: PROSEGUE IL CONTO ALLA ROVESCIA VERSO L'INGRESSO NELL'UE

di Marina Szikora [*]
Con l'adesione della Croazia all'Ue verra' semplificata la procedura dell'ingresso nel Paese, il permesso di soggirono e di lavoro ai cittadini dei paesi membri dell'Area Economica Europea ed i loro membri di famiglia che potranno lavorare in Croazia e prestare servizio senza permesso di lavoro, informa il Ministero degli interni croato. Per precisare, fanno parte dell'AEE tutti gli stati membri dell'Ue, in piu' Norvegia, Lichtenstein e Islanda. I cittadini di quest'area economica che intendono soggiornare in Croazia fino a tre mesi dovranno solo registrarsi presso la direzione o stazione di polizia competente entro otto giorni dall'ingresso in Croazia. Una permanenza piu' lunga di tre mesi potra' essere regolata con una procedura molto semplice in base al permesso di soggiorno temporaneo che verra' rilasciato con una validita' di cinque anni. Dopo un soggiorno legale di cinque anni in continuazione in Croazia, i cittadini dell'AEE potranno ottenere un permesso di soggiorno permanente. Dal prossimo primo luglio, quindi con l'ingresso della Croazia nell'Ue il nuovo codice della Legge sui stranieri non verra' pero' applicato per i cittadini dei paesi terzi. Dopo l'adesione della Croazia non cambiera' lo status delle persone che in Croazia hanno ottenuto asilo o di quanti hanno la protezione sussidiaria.

E in questo periodo di vero e proprio conto alla rovescia per quanto riguarda l'adesione croata all'Ue, diversi media internazionali si occupano del futuro 28esimo paese membro dell'Ue. Cosi' la BBC britannica in un articolo scritto ricorda le relazioni tormentate tra Zagabria e Bruxelles che in tutti questi anni ha avuto molti alti e ribassi. La BBC ricorda che 20 anni fa, ai tempi del sanguinoso divorzio dalla Jugoslavia, i tre quarti dei cittadini della Croazia appoggiavano l'adesione del loro paese all'Ue o meglio all'allora Comunita' europea. I tempi ora sono cambiati e oggi, alle porte dell'Ue, il numero dei cittadini croati che sostengono l'ingresso e' calato al 45 percento. Se andate per le strade di Zagabria ed iniziate a chiedere i cittadini sull'Ue, avrete delle risposte diverse, prosegue la BBC. Un pensionato ad esempio risponde che la giustizia croata diventera' migliore, piu' efficace ed affidabile. Una laureata concorda con l'opinione che l'adesione all'Ue potrebbe migliorare la situazione della giustizia ma in principio e' contraria all'adesione perche' teme che il paese si trovera' sotto il peso di molti obblighi finanziari. Una dipendente nel settore della cultura spera che ci potrebbe essere un ceto progresso ma teme che questa speranza potrebbe svanire difronte ai problemi economici che la stessa Ue sta affrontando attualmente. Altre ragioni per un atteggiamento positivo verso l'adesione all'Ue sono maggiore liberta' di studio e di viaggio oppure una possibilita' di trovare piu' facilmente il lavoro. I contrari ritengono che aumenteranno i costi della vita e che altri cittadini dell'Ue si aproprieranno di lavori ben pagati in Croazia.

Una eminente esperta economica croata prevede la "distruzione creativa" del settore privato nel momento in cui la Croazia diventera' membro a pieno titolo dell'Ue. Questa esperta afferma che la Croazia gia' adesso ha problemi con la competizione di mercato dove esporta difficilmente o per niente. Negli ultimi cinque anni circa 120 mila persone hanno perso il lavoro e il tasso di disoccupazione e' aumentato dal 14 al 20 percento. Interi settori, quali quello dell'edilizia sono crollati, gli investimenti diretti sono calati l'80 percento dal 2008 e adesso sono ai livelli del lontano 1999. La Comunita' europea insieme alle Nazioni Unite ha aiutato a fermare la guerra in Croazia, afferma la BBC, ma ben presto si e' posta la domanda perche' dopo tutta questa lotta per l'indipendenza la Croazia vorrebbe aderire "all'Euroslavia". Nel dopoguerra la questione dell'adesione all'Ue non si potenziava molto in Croazia. Il Paese si trovava in isolamento, sotto pressione dell'Ue ma anche di altre forze a causa della richiesta di estradizione degli imputati per crimini di guerra all'Aja. Quando nel 2004 vi e' stata la cosidetta grande ondata dell'ingresso dei paesi post-comunisti dell'Europa orientale, ivi inclusa l'ex repubblica jugoslava Sovenia, prosegue BBC, la Croazia si trovava solo all'inizio del processo europeo. Dopo che la stessa Slovena aveva poi bloccato i processi di adesione della Croazia a causa delle dispute sul confine, l'appoggio croato all'adesione e' calato ai minimi storici del 29 percento. Successivamente poi, vi e' stato un rialzo al 45 percento ma i contrari e gli astenuti sono ancora in grande numero.

La ministro degli esteri ed affari europei Vesna Pusić ritiene che il numero reale che riflette la posizione dei cittadini verso l'Ue e' quello del referendum sull'adesione quando il 66 percento degli elettori recatisi alle urne ha detto il loro SI' all'ingresso della Croazia nell'Ue. Pusić sottolinea che per la Croazia e' cruciale la stabilita' che porta l'adesione. Dopo la guerra che ha portato via oltre 10.000 vite umane, il Paese sta ancora curando le ferite e non solo la Croazia ma anche gli altri paesi della regione che hanno subito le atrocita' della guerra degli anni novanta. "Una stabilita' permanente e' l'obiettivo cruciale per la Croazia poche' negli ultimi 100 anni nessun stato nei Balcani è riuscito a resistere piu' della media della vita di un essere umano", ha detto Vesna Pusić. In Croazia e' ancora difuso il dubbio e l'incoscenza sull'Ue ma a Zagabria credono altrettanto che nemmeno nell'Ue sanno molto della Croazia. La squadra di calcio e' tra le 10 migliori al mondo ed e ben conosciuta tra gli ammiratori dello sport, ma molto meno si sa dell'arte e della ricca cultura e del patrimonio storico della Croazia. Per correggerlo, il Ministero della cultura croato sta organizzando nelle principali capitali eurpee tutta una serie di presentazioni nel tentativo di andare oltre l'unico pensiero che esiste quando si pensa alla Croazia, vale a dire sole e mare oppure, ancora peggio, nazionalismo e intolleranza, sottolinea la ministro Pusić. 

KOSOVO: I SERBI DEL NORD ACCETTERANNO L'ACCORDO TRA BELGRADO E PRISTINA?

Di Marina Szikora [*]
Rada Trajković, medico a Gračanica e deputata della Lista unica serba al parlamento di Pristina, è una delle piu' popolari rappresentanti dei serbi che vivono a sud del fiume Ibar. In una dichiarazione avverte i suoi connazionali che devono comprendere il momento e le intenzioni della comunita' internazionale mentre decidono se accettare o no l'accordo tra Belgrado e Priština. "La comunita' internazionale ha deciso di lottare contro la criminalita' in Kosovo e guarda se nei serbi puo' avere dei partner affidabili. Se non sapremo riconoscerlo e mancheremo a questa occasione, sara' come con Slobodan Milošević il quale non aveva riconosciuto quello che succedeva quando cadeva il muro di Berlino e siamo precipitati nell'isolamento e nella miseria", afferma la Trajković.

I serbi del nord del Kosovo continuano invece a rifiutare l'accordo, anche se e' chiaro che non ci saranno passi indietro. I tentativi di integrazione del nord non sono riusciti per 14 anni e questa continuita' sta facendo crescere nei serbi la vana speranza di una loro vittoria e che alla fine ci sara' una divisione del Kosovo, e' dell'opinione la deputata serba che aggiunge che ne' la comunita' internazionale, ne' Priština finora non sono stati seri nei tentativi di integrazione. Adesso però e' diverso: la comunita' internazionale vuole stabilizzare il Kosovo. La questione e' allora se mancheremo l'occasione di essere un partner serio della Nato nella lotta contro la criminalita' in Kosovo, afferma Rada Trajković.

La sua opinione è che le maggiori vittime della politica di divisione del Kosovo e dell'insincerita' di Belgrado sianno stati proprio i serbi al nord. "Durante il regime Milošević, per vent'anni abbiamo vissuto qui senza istituzioni e senza comprendere la situazione degli albanesi, la loro forza ed il loro numero. Noi nelle enclavi abbiamo gia'passato un processo difficile che aspetta i serbi al nord. Siamo passati nella posizione che dobbiamo lottare da soli, ma nel parlamento del Kosovo adesso si sente la voce di resistenza. Richiedono diritti per il proprio popolo. Non e' cosi'. Noi abbiamo lottato per il riconoscimento, ma come spiegarlo ali serbi del nord?", si chiede la Trajković. Se non si dimostra adesso di essere partner affidabili nella lotta alla criminalita' e nella formazione di una situazione stabile, allora i serbi in Kosovo falliranno completamente, conclude la deputata serba.


KOSOVO, NIKOLIĆ A TEL AVIV: ”NON RICONOSCEREMO MAI L'INDIPENDENZA”

Il presidente serbo Tomislav Nikolic
di Marina Szikora [*]
Da Tel Aviv, dove settimana scorsa si e' trovato in visita ufficiale, il presidente della Serbia Tomislav Nikolić ha dichiarato per il giornale israeliano JerusalemPost che il Kosovo non sara' mai uno stato poiche' non lo puo' diventare senza l'accordo della Serbia. Nikolić ha sottolineato di sapere che la Serbia sara' esposta a terribili pressioni di riconoscere il Kosovo ma loro non lo faranno mai. Secondo Nikolić questa pressione e' di "natura economica". "Naturalmente, l'Ue dira' che se noi riconosciamo il Kosovo, i nostri figli avranno un futuro migliore. Ma noi non lo possiamo fare. Non si tratta di nazionalismo, non si tratta di odio. Si tratta di amore verso il nostro popolo, verso il nostro paese", ha rilevato il capo dello stato serbo.

Facendo riferimento al recente accordo di Bruxelles con Priština, Nikolić ha detto: "Abbiamo dovuto affrontare il dilemma se essere in un costante conflitto con gli albanesi oppure risolvere la questione. Non avevamo molto potere nelle nostre mani. Avevamo buoni argomenti e la giustizia dalla nostra parte, ma i media internazionali appoggiano gli albanesi molto apertamente", ha precisato il presidente serbo aggiungendo che il popolo serbo era costretto, con il passare degli anni, ad abbandonare il Kosovo e se si permeterebbe di continuare cosi', un giorno forse si sveglierebbero e capirebbero che li' non ci sono piu' i serbi. Per questo, ha spiegato Nikolić, la decisione e' stata quella di alzare i negoziati con Priština al livello piu' alto possibile.

Sempre nell'intervista al giornale israeliano, il capo dello stato serbo ha precisato che adesso non si conduce una guerra ma ci sono i colloqui e che lui stesso ha scritto una lettera a diversi paesi per spiegare che i negoziati non rappresentano il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo. Ha rilevato che ai serbi del Kosovo loro hanno garantito molti piu' diritti rispetto a quelli che avevano nel passato. Alla domanda giornalistica se con il riconoscimento del Kosovo indipendente, parte della Serbia sovrana, i paesi occidentali creano un precedente pericoloso e incoraggiano diversi movimenti separatisti in Europa, Nikolić ha risposto che l'Occidente e' stato avvertito di questa possibilita': "E' facile schiacciare la Serbia usando la forza, ma cosa faranno se intere civilizzazioni europee inizino a dissolversi. Oppure se i paesi multiculturali inizino a dividersi lungo linee etniche?".

Parlando del Tribunale dell'Aja, Nikolić ha detto che la Serbia ha estradato 46 persone, ivi inclusi due presidenti, diversi ministri, tre capi dell'esercito e alcuni generali militari e di polizia. Il Tribunale ha pronunciato le sentenze che tutte insieme sono oltre 1150 anni di carcere per i serbi, mentre quelli che hanno commesso crimini contro i serbi sono stati condannati in tutto ad appena 50 anni di prigione. Il presidente serbo non ha mancato come sempre a ricordare la cifra di oltre 300.000 serbi profughi e costretti ad abbandonare la Croazia ai quali non e' stato ancora consentito di fare ritorno, mentre la Croazia, punta Nikolić, adesso entra nell'Ue. "Qualcuno deve essere il colpevole e chi ne e' colpevole? Impossibile che un numero cosi' grande di crimini sia stato commesso e che nessuno ne abbia la colpa", ha concluso Nikolić.

D'altra parte, l'uomo che si dice essere attualmente il politico piu' forte in Serbia, il vicepremier Aleksandar Vučić, afferma che non e' stato ancora precisato che cosa deve fare la Serbia entro giugno ma e' certo che bisognera' iniziare ad implementare l'accordo di Bruxelles."Sapete, vi danno una bozza di piano di implementazione che non ha niente a che fare con quello che c'e' scritto nell'accordo. Questo piano e' un "non paper", non esiste, e' un desiderio albanese, come molti altri che non sono entrati nell'accordo" ha spiegato Vučić nell'intervista dell'edizione pasquale (Pasqua ortodossa) del giornale serbo "Alo". Vučić ha ribadito che ci sono tutti i meccanismi di questo mondo per implementare l'accordo di Bruxelles ma i vertici serbi vogliono parlare e concordare con il proprio popolo.

"Le scadenze sono brevi, il tempo scorre ed i serbi al nord del Kosovo devono sapere che l'intera Serbia dipende anche dai loro comportamenti e non soltanto dai nostri. Non permetteremo che a causa di qualunque indecisione danneggiamo la possibilita' per il progresso e la modernizzazione, ha detto il vicepremier. Alla domanda cosa fara' se la Corte Costituzionale concludera' che l'accordo di Bruxelles e' anticostituzionale, Vučić ha risposto: "Rispetteremo qualsiasi decisione della corte ma in questo caso dobbiamo tutti dimetterci dal Governo poiche' cio' significherebbe che abbiamo agito contro la nostra Costituzione".


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 9 maggio. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.


Sommario della puntata

Albania: il punto sulla situazione politica in vista delle elezioni del 23 giugno; la questione della commissione elettorale centrale; le liste dei partiti; polemiche e scontri tra ma anche dentro le forze politiche; le preoccupazioni internazionali. 
Kosovo: i serbi del nord di fronte all'accordo tra Belgrado e Pristina, mentre il presidente serbo Tomislav Nikolic ribadisce il no al riconoscimenton dell'indipendenza.
Croazia: l'ingresso nell'Ue, ormai prossimo, porterà alcuni benefici ai cittadini  che intanto aspettano quella data con sentimenti diversi


Nella trasmissione si parla anche delle elezioni anticipate del 12 maggio in Bulgaria, con la probabile vittoria dell'ex premier Boiko Borisov ma senza gararanzie di stabilità politica, e della crisi politica in Moldavia, di nuovo in pieno caos e con la prospettive di nuove elezioni a breve. 
In apertura il nuovo rapporto del Consiglio d'Europa sulle condizioni delle carceri europee: in Serbia e Grecia (e Italia) quelle più affollate 

La puntata di oggi è dedicata alla Festa dell'Europa che si celebra ogni anno il 9 maggio, il giorno del 1950 in cui Robert Schuman, allora ministro degli Esteri francese, pronunciò la celebre dichiarazione che viene considerata il primo discorso politico ufficiale in cui viene prefigurata l'unione economica e, in prospettiva, quella politica tra i vari Stati europei e rappresenta dunque l'inizio del processo di integrazione europea.


mercoledì 8 maggio 2013

IL SUD-EST EUROPA E LA GLOBALIZZAZIONE DEL CRIMINE ORGANIZZATO


Qui di seguito riporto il testo della mia intervista per Radio Radicale al dottor Paolo Sartori, direttore del coordinamento operativo per l'Europa orientale e sud orientale della Criminalpol, che gli amici di Osservatorio Balcani e Caucaso hanno avuto la gentilezza di trascrivere e pubblicare sul loro sito.


Qual è l'attività svolta dall'ufficio dove lavora?

La nostra è una struttura interforze che opera a livello internazionale ed è coordinata dalla direzione centrale della polizia criminale del ministero dell'Interno. Siamo dislocati in molti paesi del mondo e dai nostri uffici all'estero facciamo in modo che le attività investigative condotte dalle forze di polizia e dalla magistratura italiana possano ottenere quelle informazioni necessarie per poter procedere anche a livello transnazionale.
Collaboriamo quotidianamente con le forze di polizia e la magistratura dei paesi che ci ospitano e dai nostri avamposti cerchiamo di far sì che tutte le informazioni che riguardano fenomeni criminali che hanno pertinenza col territorio italiano possano essere monitorate e possano essere utilizzate dagli investigatori italiani.

Quali sono le organizzazioni criminali più pericolose che operano nell'Europa sud-orientale?

Le organizzazioni mafiose italiane sono tutte presenti, in particolar modo i clan della camorra e le organizzazioni criminali siciliane, Cosa nostra nello specifico. La 'ndrangheta è anche molto presente, soprattutto negli ultimi anni.
Per il resto vi sono organizzazioni criminali originarie del sud est Europa che ormai hanno esteso il loro raggio d'azione a livello internazionale e anche il territorio italiano non ne è esente.
Però vi è una grossa differenza tra organizzazioni criminali di stampo mafioso così come noi le intendiamo in Italia e quelle invece originarie dell'Europa del sud-est. Queste ultime sono più flessibili, più mobili sul territorio e non esercitano un controllo del territorio come lo intendiamo noi. Sono molto efficaci perché le loro strutture snelle consentono loro di muoversi a livello internazionale, di crearsi e ristrutturarsi in diversi territori in modo assolutamente efficace e difficile per noi da focalizzare e da contrastare.

Che caratteristiche hanno le alleanze strette tra le nostre organizzazioni criminali e quelle del sud-est Europa? Sono temporanee, legate a fatti contingenti o più strutturate?

La stessa natura delle mafie del sud-est Europa fa sì che questi accordi siano perlopiù strutturati nel breve e medio termine: finalizzati al profitto e al reciproco interesse. Abbiamo notato in varie attività investigative numerosi accordi di questo tipo e solitamente sono finalizzati a portare a termine determinate attività delinquenziali nel breve e medio termine.
Inoltre le organizzazioni criminali di questi paesi hanno una caratteristica che le rende particolari anche rispetto a fenomeni di tipo politico e culturale di quei paesi dove operano. Ad esempio non vengono riprodotti a livello criminale quei conflitti di carattere etnico e culturale che invece si sono visti negli ultimi due decenni nei paesi del sud est Europa.
Ad esempio vi sono organizzazioni criminali serbe che operano in modo molto efficace assieme a organizzazioni criminali kosovare.
Si tratta inoltre di organizzazioni flessibili e molto mobili sui vari territori. Pensiamo a quelle che si occupano del traffico di giovani donne verso i paesi occidentali e poi sfruttate nell'ambito della prostituzione: vanno dove hanno interesse ad agire e poi si ricollocano in altri territori. Così come le organizzazioni criminali che si occupano di reati informatici, un settore altamente specializzato dal punto di vista tecnologico: si collocano in un determinato paese per un determinato periodo e poi magari questi gruppi si sciolgono e i vari componenti vanno a creare altri gruppi altrove.

Si è verificato un passaggio diciamo di know how tra le organizzazioni criminali tradizionali e quelle che potremmo definire “più giovani” di questi paesi?

Sicuramente le collaborazioni hanno portato ad una conoscenza reciproca e anche ad un consolidamento di quelle che sono le attività che queste organizzazioni compiono a livello transnazionale. E vi è stato anche uno scambio di esperienze e un utilizzo reciproco di professionalità criminali che in precedenza le singole organizzazioni non avevano.

Quali sono i paesi in quest'area che attualmente sono più deboli ed esposti all'infiltrazione della criminalità organizzata?

I paesi che sono entrati a far parte dell'Unione europea negli ultimi anni hanno sicuramente assorbito una cultura giuridica e professionale che ne ha accresciuto l'efficienza nell'attività di prevenzione e contrasto alla criminalità organizzata. Vi sono invece altri paesi dove le legislazioni non sono state ancora armonizzate con quelle più evolute e dove le forze di polizia sono meno preparate.
Detto questo c'è da sottolineare come ormai queste organizzazioni criminali non sono collocabili su un territorio specifico, delimitato da confini nazionali. Inoltre vi sono alcune organizzazioni più specializzate di altri in determinati settori. Ad esempio la criminalità organizzata romena è molto attiva nel settore dei reati informatici e finanziari; quella serba e albanese nel traffico internazionale di droga.
A questo proposito negli ultimi anni abbiamo rilevato un cambiamento delle rotte classiche del traffico ad esempio della cocaina. Una volta quest'ultima veniva trasportata direttamente nei paesi occidentali dall'America del sud mentre invece adesso le organizzazioni criminali sudamericane in contatto con quelle europee - e italiane in particolare - trasportano la cocaina nei paesi dell'est Europa via nave attraverso il Mar Nero e da qui poi arriva in Europa occidentale. Si allunga il percorso ma si trovano canali preferenziali, protezioni e connivenze.

Il traffico di droga è sempre quello più redditizio?

Sicuramente sì, assieme al traffico di esseri umani e al traffico internazionale di armi.

Di solito si ritiene che grazie al traffico di stupefacenti venga accumulata una grande capacità finanziaria che permette poi di investire in altri traffici illeciti o nell'economia legale. Questo è sempre vero?

Sicuramente la globalizzazione dei mercati ha favorito il riciclaggio di denari di provenienza illecita, soprattutto in alcuni paesi del sud est Europa dove le legislazioni a contrasto e prevenzione di questo tipo di fenomeni non sono state all'altezza.
L'impressione che il cittadino ha è che, nonostante il vostro quotidiano impegno e i vostri successi, le mafie continuino quasi imperturbate a condurre i loro traffici...
Sono valutazioni sicuramente corrette anche se dobbiamo dire che le attività delle forze di polizia e delle magistrature sia a livello nazionale che internazionale sono solo la punta dell'iceberg di quello che dovrebbe essere un sistema più complesso di attività di prevenzione e di repressione.
Certo da sole non bastano per far sì che questo fenomeno possa esser ridotto e controllato in tutte le sue componenti. Vi sono infatti componenti di carattere sociale e culturale e di altro genere che sono, diciamo così, avulse da quelle che sono le nostre attività.
E poi vi sono valutazioni di carattere politico che non sta a me fare, che sono molto complesse e che riguardano anche interessi diversi a livello globale.

Alcuni governi di paesi del sud America chiedono di rivedere alcune politiche alla base del contrasto al traffico di stupefacenti. Secondo lei c'è qualcosa da cambiare nel modo in cui viene condotta nel mondo la guerra alla droga?

Dal punto di vista della collaborazione tra le forze di polizia e le magistrature posso dire che negli ultimi anni sono stati ottenuti risultati di altissimo livello e questa collaborazione si è sicuramente rafforzata. Poi per quanto riguarda gli aspetti più politici e culturali sicuramente vi sono molte cose da fare ma ribadisco che non sta a me dare una valutazione in questo senso.

Lei vive in Romania da circa 15 anni. Cosa è cambiato in questi paesi in questo lasso di tempo?

Negli ultimi 15 anni nei paesi del sud est Europa sono cambiate moltissime cose, da tutti i punti di vista. Per quanto riguarda il nostro lavoro le cose sono migliorate in maniera molto evidente, sia dal punto di vista dell'atteggiamento verso l'attività di collaborazione internazionale da parte delle autorità di questi paesi sia dal punto di vista della percezione sociale della pericolosità di questi fenomeni e quindi del coinvolgimento delle società di questi paesi nelle attività di prevenzione e anche nelle discussioni che ci sono a tutti i livelli. Ritengo inoltre che siano in atto ulteriori cambiamenti che non possono che fare bene e portare elementi positivi in questa lotta che quotidianamente portiamo avanti.

Immagino che in questo senso il processo di integrazione europea sia uno snodo fondamentale...

Indubbiamente il fatto di sentirsi parte integrante dell'Unione europea per i paesi che hanno fatto il loro ingresso recentemente e anche per altri che hanno aspettative concrete di entrare a farne parte ha senza dubbio giovato.