giovedì 23 giugno 2011

DA ATENE A PONTIDA: A RISCHIO IL FUTURO DEL PROGETTO POLITICO EUROPEO

Approvare il piano di austerità o da Europa e Fondo Monetario Internazionale non arriverà più nemmeno un centesimo. E’ l’ultimatum dell’Eurogruppo alla Grecia dopo la riunione straordinaria di lunedì scorso a Lussemburgo. In pratica, o il 28 giugno il parlamento di Atene approva il piano di risanamento dei conti e di privatizzazioni oppure la Grecia non riceverà la quinta tranche del prestito previsto dal piano di salvataggio da 110 miliardi varato lo scorso anno. Si tratta di 12 miliardi di euro (8,7 dall’UE, 3,3 dal FMI) senza i quali Atene non potrà rimborsare i titoli di stato in scadenza tra luglio e agosto. E sarà il fallimento. Alternative non ve ne sono. E nemmeno un “piano b”, come ha ribadito ieri la portavoce della Commissione Europea, Pia Ahrenkilde.

Gli occhi sono puntati, quindi, al 28 giugno, quando il parlamento greco si esprimerà sul piano di austerity. Il 3 luglio l’Eurogruppo prenderà la sua decisione, dalla quale dipende anche il varo del piano di salvataggio-bis (per altri 90-120 miliardi di euro) necessario per far fronte ai titoli pubblici in scadenza il prossimo anno. Il premier George Papandreou mostra fiducia sul sostegno del parlamento e si dice determinato a portare avanti il programma di risanamento e di riforme. Un piano che prevede oltre 28 miliardi di tagli e privatizzazioni per 50 miliardi. La stabilizzazione resta la priorità, ha detto il nuovo ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, che da parte sua si è impegnato ad uno sforzo supplementare, al di là delle richieste dell’UE e del FMI.

In attesa del voto del 28, martedì notte Papandeou ha intanto incassato la fiducia al proprio governo dopo il rimpasto della scorsa settimana. Il voto è arrivato dopo un difficile dibattito con i deputati socialisti del Pasok (155 su 300) a favore e l’opposizione che ha votato compatta, mentre il leader di Nea Demokratia, Antonis Samaras, è tornato a chiedere elezioni anticipate, un’ipotesi respinta invece da Papandreou che accusa il rivale di strumentalizzare la situazione. E mentre il premier si prepara alla dura battaglia parlamentare del 28 giugno, un recentissimo sondaggio indica il Pasok in leggero svantaggio rispetto a Nea Demokratia. Senza contare che il governo dovrà affrontare anche la prevedibile dura opposizione popolare, scesa nuovamente in piazza in questi giorni.

E’ evidente che un governo in carica sconta sempre il malcontento popolare in caso di crisi economica, indipendentemente dalle sue reali responsabilità. Il Pasok, dopo la larga vittoria del 2009, si è trovato in mano la patata rovente del disastro dei conti pubblici lasciatogli in eredità dal precedente governo di centro-destra. Vero è anche che la Grecia paga il tracollo di un sistema politico e di potere che non può più reggere alla realtà e gravità della crisi e che ha avuto i suoi pilastri nei due principali partiti emersi dopo la fine della dittatura dei colonnelli: il Pasok e Nea Demokratia, a loro volta cresciuti attorno alle due dinastie attorno a cui ruota la politica in Grecia da lunghissimo tempo: i Papandreou e i Karamanlis.

La crisi greca rappresenta però anche un banco di prova per il futuro stesso dell’UE. Ad Atene c’è una bomba ad orologeria innescata e i governi dei 27 dovrebbero fare il loro mestiere fino in fondo, ma ogni decisione è presa in ostaggio dalle convenienze politiche interne dei singoli paesi. E così, da Atene a Berlino, da Parigi a Roma fino a Pontida, le grandi sfide con cui si deve misurare l’Unione Europea devono fare i conti con le piccolezze nazionali che passano dal Reichstag ma anche dal “sacro prato” padano. E come Marco Pannella, Emma Bonino e i Radicali continuano a ripetere, tanto più nel caso della crisi greca, il prevalere delle “piccole patrie” sul sogno della “patria europea” rischia di far naufragare in maniera forse definitiva il progetto politico dell’Unione. [RS]

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