giovedì 31 marzo 2011

BOSNIA: INTERVIENE L'ALTO RAPPRESENTANTE INTERNAZIONALE

Sei mesi dopo le elezioni, l'Alto rappresentante internazionale in Bosnia-Erzegovina, Valentin Inzko, ha deciso di esercitare le sue prerogative (i cosiddetti "poteri di Bonn") per tentare di risolvere lo stallo politico. La situazione politica del paese preoccupa anche i vicini: il presidente croato Ivo Josipovic e la premier Jadranka Kosor hanno diffuso nei giorni scorsi una dichiarazione congiunta in cui garantiscono il loro impegno a favore della stabilità della Bosnia-Erzegovina, ma anche per la tutela dei cittadini di etnia croata.

Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 31 marzo a Radio Radicale.

Valentin Inzko
(http://www.hrsvijet.net/)
Valentin Inzko, Alto rappresentante internazionale per la BiH ha utilizzato le sue competenze esecutive, le cosidette competenze di Bonn sospendendo lunedi' le decisioni della Commissione elettorale centrale della BiH. Con questo gesto, Inzko e' interferito direttamente nel contenzioso sulla formazione del governo nell'entita' a maggioranza musulmano-croata, la Federazione BiH, scrive il quotidiano di Zagabria 'Vjesnik'. L'alto rappresentante internazionale ha messo cosi' fuori vigore la decisione della Commissione elettorale centrale dello scorso 24 marzo con la quale il nuovo governo federale, guidato dal Partito socialdemocratico della BiH e dal Partito dell'azione democratica e' stato proclamato ilegittimo. Si tratta della sospensione temporanea della decisione relativa alla Casa del popolo del Parlamento bicamerale della Federazione BiH perche' questa camera non sarebbe stata costituita secondo la legge elettorale.
Ricordiamolo, dal nuovo governo della Federazione BiH sono stati esclusi i due maggiori partiti croati e la quota croata dei dicasteri ministeriali e' stata riempita dai due minori partiti croati con sede in Herzegovina. La Commissione elettorale centrale ha appoggiato la posizione dei due maggiori partiti croati secondo i quali il potere nella Federazione non puo' essere formato senza i deputati nella Casa del popolo provenienti da alcuni dei maggiori cantoni croati. Ma l'Alto rappresentante Inzko e' dell'opinione diversa, appoggiato anche dall'ambasciata americana di Sarajevo che gli ha dato pieno sostegno, insieme al maggior numero di altri paesi membri del Consiglio di implementazione della pace, l'organo internazionale istituito a monitorare l'attuazione dell'Accordo di Dayton. La decisione di Inzko di sospendere la decisione della Commissione elettorale e' seguita dopo diversi giorni di consultazioni all'interno della cominita' internazionale.
Tra i rappresentanti della comunita' internazionale e' prevalsa la posizione che l'attuale situazione giuridica insostenibile nella Federazione BiH deve essere finalmente chiarita poiche', come viene spiegato, i due maggiori partiti croati avevano praticamente ostruito la formazione della Camera del popolo con i deputati delle contee croate. Dall'Ufficio dell'Alto rappresentante internazionale viene spiegato che la decisione della sospensione punta ad ostacolare ulteriori incognite giuridiche e si e' data l'occasione alla Corte costituzionale della Federazione di esprimersi in particolare sulla questione dei ricorsi presentati dalla presidente della FBiH Bojana Krišto e dal vicepresidente del governo della Federazione Vjekoslav Bevanda. C'e' da sottolineare che la decisione di Valentin Inzko e' arrivata solo un giorno prima dell'inizio di due giorni di riunione del Consiglio per l'implementazione della pace, a livello di direttori politici, precisa il commento del quotidiano di Zagabria 'Vjesnik'. In questa sede si dovrebbe discutere di questioni cruciali quali il futuro dell'imepegno internazionale in BiH tra cui anche i piani secondo i quali una delegazione rafforzata dell'Ue dovrebbe assumere un ruolo di guida in BiH al posto dell'attuale Ufficio dell'Alto rappresentante.

Il presidente croato Ivo Josipović e la premier Jadranka Kosor, a seguito della sempre piu' tesa situazione politica in BiH, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui hanno espresso preoccupazione a causa dell'approfondimento della crisi politica in BiH.
"La Croazia e' vitalmente interessata per la stabilita', integrita' territoriale e sovranita' della BiH, in quanto paese vicino ed amico. Questa stabilita' si basa sul rispetto della volonta' maggioritaria di ciascuno dei tre popoli costituenti, quindi anche del popolo croato, cosi' come espresso alle elezioni generali" si legge nel comunicato rilasciato dagli uffici del Presidente e della premier. "Ci aspettiamo da ogni fattore in BiH e dall'Ufficio dell'Alto rappresentante di garantire e salvaguardare la posizione costituzionale e l'eguaglianza istituzionale del popolo croato in BiH", sottolineano Josipović e Kosor e aggiungono che invece di ogni forma di radicalizzazione, invitano al ritorno al dialogo.
La premier croata Jadranka Kosor ha annunciato che seguiranno ulteriori consultazioni tra lei e il presidente Josipović relative ai passi che la Croazia intraprendera' a causa della situazione in BiH. "Tutte le decisioni in BiH devono essere sulla traccia di quello che e' cruciale: che la BiH deve essere uno stato di tre popoli costituenti e che il diritto di ogni popolo, quindi anche quello croato, deve essere realizzato in questo senso e devono essere rispettati per via della loro rappresentanza. Kosor ha precisato che si tratta anche dell' obbligo della Croazia di prendersi cura dei croati fuori dai confini del Paese e questo vale anche per il popolo croati in BiH.

ALBANIA: MACCHINA ELETTORALE IN PIENA ATTIVITA' MA SOTTO OSSERVAZIONE

di Artur Nura [*]
Qui di seguito la sintesi della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 31 marzo a Radio Radicale
La Commissione Elettorale Centrale ha accreditato i primi osservatori locali che monitoreranno le elezioni locali dell'8 maggio. L'Associazione per la Cultura Democratica ha messo a disposizione 145 giovani che monitoreranno l'andamento del processo dell'8 maggio.
Domenica 27 marzo l'ODIHR (Office for Democratic Institutions and Human Rights) dell'OSCE ha portato i suoi primi osservatori attraverso una missione che osserverà la prima fase preparativa delle elezioni e darà le valutazioni sulle misure prese dal governo.
La prima missione dovrebbe avere varie decine di membri e verrà diretta dall'americano, Jonathan Stonestreet. Alla fine di questo mese l'ODIHR dovrebbe portare i propri osservatori, di cui 50 diretti da Stonestreet che avranno lo status “a lungo termine” mentre altri 350 monitoreranno solo il giorno delle elezioni.
La maggior quantità di denaro per la campagna, sulla base del criterio definito dalla legge elettorale, sarà ricevuta dal Partito Democratico (PD) e dal Partito Socialista (PS) in qualità di forze maggiormente votate nel 2007: in pratica il 70% del budget prestabilito per i partiti andrà a queste due forze politiche.
Il Consiglio Nazionale del Partito Democratico ha approvato domenica la lista dei candidati a sindaco di regioni e comuni in tutto il paese. Il fine principale e' il rispetto degli standard, ha espresso il Premier Berisha, parlando dinnanzi ai membri del Consiglio Nazionale.
Si è conclusa martedì la riunione della direzione del Partito Socialista, durata più di due ore. Intanto sono stati decisi i nomi dei candidati per le principali regioni. Ormai dalla sede del PS sono stati resi pubblici i nominativi dei candidati in gara del PS.

Aggiornamento
A distanza di una sola settimana dopo dall'arrivo di Miroslav Lajcak, inviato speciale dell'Alto rappresentante per politica estera dell'Ue, Catherine Ashton, mercoledì è giunto a Tirana il commissario europeo per l`allargamento, Stefan Fuele, in occasione di un seminario comune dei governi di Tirana e di Podgorica per vedere da solo la situazione del Paese.
Durante la sua visita Fuele ha incontrato il presidente albanese Bamir Topi, il premier Sali Berisha e il leader socialista, Edi Rama. Le elezioni dell'8 maggio, e la pubblicazione del nuovo rapporto della Commissione Europea, a novembre, hanno posto le autorità albanesi dinnanzi alla forte pressione per realizzare le 12 priorità per l`integrazione europea e per superare la lunga crisi politica. Sembra che Bruxelles aumenterà la presenza dei suoi 'inviati' a Tirana a tal fine.
Ufficialmente lo scopo della sua visita è di stimolare le riforme nel paese, in modo tale che le 12 priorità della CE vengano incluse nel Piano d`Azione. Visto che queste non possono essere realizzate senza un dialogo tra i partner politici, cosa che è stata ribadita varie volte, e il commissario Fuele ha insistito sul bisogno di aprire un dialogo e un consenso tra le forze politiche, per quanto riguarda l'agenda europea dell'Albania.
Il commissario Fuele ha esaminato anche la crisi politica degli ultimi due anni nel paese, e ha chiesto che le riforme dell'Albania sul integrazione europea siano centrali nel orientamento politico del paese. Fule si messo a conoscenza della preparazioni per le elezioni locali dell'8 maggio, le quali devono essere libere, trasparenti e conformi agli standard internazionali.

[*] Corrispondente di Radio Radicale

KOSOVO. BELGRADO: DIALOGO SI', INDIPENDENZA MAI


Foto Jurji Simac
di Marina Szikora [*]
Il vice premier della Serbia e ministro degli Interni, Ivica Dačić, afferma in questi giorni che la Serbia non permettera' che qualsiasi tipo di soluzione raggiunto durante i colloqui tra Belgrado e Priština sia utilizzato per riconoscere l'indipendenza del Kosovo. Dačić ha detto che i gruppi di lavoro cercheranno di trovare le soluzioni per i problemi vitali che appesantiscono i cittadini e si e' detto certo che ognuno di questi problemi vitali ha il suo altro lato, vale a dire che e' collegato con la questione dello status e che, visto anche in tal senso, questo potrebbe essere un tentativo affinche' la Serbia, attraverso piccole porte, accetti una soluzione che implicherebbe il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo. Belgrado, ha avvertito Dačić, questo non acconsentira' mai.
Il vicempremier serbo ha sottolineato che Belgrado e' per il dialogo e per una soluzione di compromessi, ma in modo tale che il compromesso non significhi che una parte ottenga tutto e l'altra nulla. Dačić ha aggiunto di appoggiare ogni tipo di soluzione che aiutera' a risolvere i problemi, ma ha sottolineato che alla riunione del Governo serbo e' stata approvata una piattaforma secondo la quale Belgrado e' pronta per il dialogo e per il compromesso, nonche' per un accordo storico, ma in base alla salvaguardia dell'interesse nazionale e statale.
Il primo round dei colloqui tra Belgrado e Priština si e' svolto lo scorso 8 marzo a Bruxelles e questo dialogo e' continuato lunedi', sempre a Bruxelles. "L'incontro si e' svolto in un'atmosfera di lavoro buona" si legge nel comunicato dell'Ue, ovvero dell'Ufficio di Catherine Asthon sotto il cui patroncinio si svolgono i negoziati. Questa volta si e' parlato di catasto, di energia, telecomunicazioni, traffico regionale e libero scambio di merci. Sia l'Ue che la delegazione serba guidata da Borislav Stefanović hanno dichiarato che vi e' stato raggiunto avanzamento nei colloqui relativi ai temi in questione.
E' stato ribadito quello che la Serbia ripete pero' in tutte le sedi ed occasioni: la questione dello status del Kosovo "e' molto chiara, esso e' parte della Serbia ma cio' non esclude che la parte kosovara non abbia diritto alla propria opinione, che e' nota, e che non sia possibile accordarsi su altre questioni", ha detto Stefanović.
Il prossimo round di colloqui è fissato per la meta di aprile, sempre a Bruxelles.

[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est del 31 marzo

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 31 marzo a Radio Radicale

Sommario della trasmissione

In apertura si parla di Turchia e degli orientamenti del governo Erdogan rispetto a quanto sta avvenendo in nord Africa ed in Medio oriente con riguardo particolare alla crisi in Libia e alla situazione in Siria: orientamenti da analizzare nell'ambito più generale del ruolo geopolitico che la Turchia ambisce ad assumere ma che hanno a che fare anche con le elezioni del prossimo giugno che al momento secondo i sondaggi vedono l'Akp, il partito islamico-moderato del premier in netto vantaggio, con percentuali molti simili a quelle del 2007.
Sull'argomento la trasmissione riporta anche l'opinione di Emma Bonino, raccolta da Alessio Falconio nel corso dell'intervista settimanale trasmessa il 28 marzo, e quella di Nicola Mirenzi, ricercatore presso la Bilgi University di Istambul e collaboratore del quotidiano Europa e del blog Il Mondo di Annibale, intervistato da Ada Pagliarulo.

Gli altri argomenti della puntata

Albania: il punto sulla situazione politica a poco più di un mese dalle elezioni amministrative, le preoccupazioni europee e l'appello a rispettare gli standard internazionali di regolarità e legalità

Kosovo: il presidente serbo Boris Tadic conferma di voler proseguire il dialogo con Pristina ma ribadisce il no di Belgrado al riconoscimento dell'indipendenza della sua provincia a maggioranza albanese. Intanto la missione civile europea Eulex indaga sui crimini di guerra.

Bosnia-Erzegovina: sei mesi dopo le elezioni l'Alto rappresentante internazionale, Valentin Inzko, ha deciso di esercitare le sue prerogativa (i cosiddetti "poteri di Bonn") per tentare di risolvere lo stallo politico. Intanto la situazione nel paese preoccupa i vicini: il presidente croato Ivo Josipovic e la premier Jadranka Kosor hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui esprimono la loro intenzione di favorire la stabilità della Bosnia-Erzegovina, ma anche la tutela dei cittadini di etnia croata.

Croazia: il presidente Ivo Josipovic si dice convinto che tutti i paesi europei abbiano una disposizione positiva verso il suo paese e sostengano il processo di adesione all'Unione Europea.

La trasmissione, realizzata con la colaborazione di Marina Szikora e Artur Nura, è riascoltabile qui



oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.

lunedì 28 marzo 2011

ALBANIA: LA CAMPAGNA PER LE ELEZIONI DI MAGGIO INIZIA DA TIRANA

Colorful Tirana
(Foto quinn.anya/flickr)
Di Artur Nura [*]
E' iniziata la campagna elettorale in Albania a cominciare da Tirana in cui ci sarà la battaglia politica più forte e più importante delle prossime elezioni amministrative. Il ministro dell’Interno, Lulzim Basha, ha rinunciato al suo mandato di parlamentare dopo la decisione della maggioranza di centro-destra di candidarlo a sindaco della capitale il prossimo 8 maggio. Nella corsa per la poltrona di primo cittadino Basha avrà di fronte l’attuale sindaco Edi Rama, che è allo stesso tempo leader dell’opposizione socialista e teoricamente il candidato premier della sinistra alle elezioni parlamentari previste per il 2013. Il Partito Democratico dell'attuale primo ministro, Sali Berisha, ha aperto ufficialmente la campagna elettorale con una manifestazione organizzata al palazzo dei congressi nella quale ha ufficializzato la candidatura del ministro degli Interni al comune di Tirana. Nel suo discorso Berisha ha detto, tra l'altro, che il partito è in cammino verso le elezioni del 8 maggio impegnato a fare di tutto per contraccambiare con gratitudine il lavoro, la fiducia, l'entusiasmo dei sostenitori: “Il nostro programma siete voi e i vostri sogni”, ha detto Berisha.

Al centro della campagna della maggioranza c'é la liberalizzazione dei visti Schengen, una questione che riguarda da vicino la candidatura di Lulzim Basha, visto che è stato ministro dell’Interno. Accanto a lui, infatti, nel concerto di apertura della campagna elettorale, c’erano anche gli studenti che hanno compiuto la prima visita organizzato dal governo a Bruxelles, subito dopo la liberalizzazione. Alcuni di loro sono anche intervenuti chiedendo di votare Lulzim Basha come migliore candidatura per il futuro della capitale. Dobbiamo ricordare che uno dei criteri principali per questa battaglia politica sui visti europeo sono stati i documenti biometrici (carta di indentità e passaporti) e che l’opposizione, con in testa Edi Rama, aveva accusato la maggioranza di aver falsificato alcuni di questi documenti per motivi elettorali. Nel suo intervento Basha si è invece detto orgoglioso di aver vinto questa battaglia politica, insinuando che l’opposizione, e in particolare Rama, per motivi e interessi puramente di potere, hanno creato difficoltà invece di aiutare gli albanesi a godere questa meritata libertà di movimento in Europa.

Poco più di due mese fa, però, l'Albania è tornata al centro dell'attenzione europea a causa delle violenze di piazza e della crisi politica e istituzionale che ha portato il Paese in un vicolo cieco. Bisogno purtroppo aggiungere che sia Basha, ministro dell’interno, che Edi Rama, organizzatore della manifestazioni dell’opposizione, sono coinvolti in questa situazione. Il procura generale, Ina Rama, ha sottolineato che andrà fino in fondo per accertare la responsabilità dello Stato albanese e che con l'aiuto degli Stati Uniti questo processo sarà più completo e credibile, però nessuno crede che i risultati possano arrivare prima del 8 maggio.

Edi Rama ha ufficializzato giovedì scorso la sua candidatura a sindaco di Tirana. In questo modo, Rama sarà in corsa per un quarto mandato, cosa che porterebbe a 14 anni la sua permanenza sulla poltrona più alta del municipio di Tirana. “Mi farò carico di rimanere sindaco del comune per tutti coloro che vogliono questo da me, per tutti coloro che me lo hanno richiesto, gente vicina o lontana. Per me oggi è un obbligo che sento come parte integrale di questa battaglia, per confrontarmi su ogni campo con questo regime. Sarò sindaco, non c'è dubbio che sarò votato", ha affermato Rama. Nei giorni scorsi, lo stesso Rama aveva però dichiarato che le elezioni del 8 maggio sono a rischio, poiché vi sono stati dei tentativi da parte della maggioranza di manipolare le liste degli elettori. Rama in una conferenza stampa, ha detto che esiste il rischio che l'8 maggio il paese si confronti con una farsa elettorale come quella del 28 giugno del 2009. "Innanzitutto noi abbiamo chiesto ed insistiamo sulla trasparenza delle liste elettorali, sulla base del codice elettorale. Secondo questo codice, sessanta giorni prima delle elezioni nessun cittadino albanese può cambiare la residenza elettorale, quindi dopo l'8 marzo, nessuna persona può cambiare il suo centro di votazione. Purtroppo questi cambiamenti illeciti, stimolati ed imposti dal potere, stanno avvenendo ordinariamente anche adesso”, ha affermato Rama.

Il Partito Socialista ha chiesto che le commissioni siano equipaggiate con strumenti per la verifica della carta d'identità di ogni elettore: "Solo cosi le elezioni possono essere difese dall'utilizzo di carte falsificate, cosa che darebbe la sicurezza che ogni elettore possa votare solo una volta e per nessuno sarà facile infragere la legge”, ha precisato il sindaco uscente. Va detto che la stessa notte in cui Edi Rama ha ufficializzato la sua candidatura a sindaco, soggetti non ancora identificati hanno colpito con armi da fuoco, Dritan Avllaj, imprenditore edile che ha cominciato ad entrare nel mondo della politica da alcune accuse che la maggioranza ha sollevato nei suoi confronti per corruzione in relazione ai permessi di costruzione nella città di Tirana. L'imprenditore è stato portato all'ospedale militare, mentre la polizia è giunta sul luogo dell'accaduto ed ha iniziato le inchieste preliminari per far luce sull'attentato. Secondo le accuse Avllaj, a nome di Rama avrebbe chiesto il 20 % di un progetto sulle colline del lago di Tirana. Queste accuse sono giunte persino alle porte della Procura e poi cadute.

Anche il Movimento Socialista dell’Integrazione ha aperto la sua campagna elettorale a Tirana. Il partito, guidato dal'ex premier socialista Ilir Meta, fa attualmente parte della coalizione di governo, ma di recente Meta ha dovuto dimettersi dalla carica di vice premier dopo la pubblicazione di un video nel corso di una trasmissione tv che mostra Meta e l`ex ministro dell'Economia, Dritan Prifti, discutere in merito all'attribuzione di un appalto. In seguito a ciò il suo peso elettorale e’ diventato discutibile e secondo i dati pubblici i voti dei cittadini di Tirana a favore del Movimento hanno rassicurato la ultima vittoria di Edi Rama come sindaco. Dal partito si afferma comunque che il video non è niente altro che un montaggio creato da Edi Rama. Lo stesso Meta è intervenuto dinanzi al Parlamento definendo il filmato come un montaggio criminale che aveva come fine l'incitamento alle violenze del 21 gennaio in cui persero la vita 4 persone. “I cittadini di Tirana devono votare per il cambiamento del volto di Tirana e non permettere la distruzione della capitale”, ha dichiarato Meta nell'apertura ufficiale della campagna elettorale, accusando l'attuale sindaco di aver distrutto l'ambiente, la vita e le infrastrutture dela capitale. L'ex vice premier ha fatto appello agli albanesi di votare contro la cementificazione e la distruzione, motivo per cui il Movimento, secondo Meta, avrà decine di candidati vincitori e migliaia di voti in più in confronto ai partiti concorrenti.

Visto la situazione pre-elettorale, la comunità internazionale chiede un maggiore impegno da parte della classe politica per la realizzazione delle elezioni del 8 maggio con standard più elevati. Gli ambasciatori di Stati Uniti, Germania e 'OSCE, hanno preso una posizione perentoria su questo punto, preannunciando che questa tornata elettorale sarà un test che deciderà il futuro del paese in relazione all'Unione Europea. “Queste elezioni sono le più importanti sia per il futuro dell'Albania che per il popolo albanese. E` un obbligo ed è responsabilità dei partiti dare una possibilità di scelta. E` obbligo del governo collaborare con la KQZ ed assicurare che queste elezioni siano le migliori che si siano mai organizzate nel paese", ha affermato l`ambasciatore americano, Alexander Arvizu. “Vi sarà una missione d`osservazione dell'OSCE, accanto agli osservatori da altri paesi. Ma questo non cambia il carattere di queste elezioni, lo ripeto ancora una volta, sono le elezioni degli albanesi, la CCE ed ogni parte coinvolta devono prepararsi a svolgere le elezioni in modo corretto", ha sottolineato l`ambasciatore dell'OSCE, Eugen Wolfarth. Dello stesso parere è anche l'ambasciatore tedesco Carola Müller Holtkemper, il quale ricorda che esse verranno controllate da vicino dagli osservatori che sono stati presenti anche alle scorse elezioni, ma anche da osservatori a livello politico.

Intanto la Commissione elettorale centrale ha deciso la spartizione del fondo per il finanziamento della campagna elettorale per le elezioni locali dell’8 maggio. La CEC ha approvato il fondo che verrà distribuito ai partiti politici per queste elezioni, in base ai risultati delle scorse elezioni. Sulla base di questo criterio, definito dalla legge elettorale, la maggior quantità di denaro per la campagna sarà ricevuta dal Partito Democratico (PD) e dal Partito Socialista (PS) in qualità di forze maggiormente votate nel 2007.

[*] Corrispondente di Radio Radicale

domenica 27 marzo 2011

LA MACEDONIA VERSO LE ELEZIONI ANTICIPATE?

Un paio di settimane fa in Macedonia tutti i partiti erano d'accordo sulle elezioni politiche anticipate. Negli ultimi giorni, invece, la situazione è cambiata: il principale partito di opposizione, il Partito socialdemocratico (SDSM) di Branko Crvenkovski si è tirato indietro. I tentativi del presidente  Gjorgje Ivanov ha convocato i leader dei principali partiti slavi e albanesi per tentare di trovare una soluzione, ma il rinnovato conflitto tra Crvenkovski ed il premier Nikola Gruevski, leader del Partito democratico per l'unità nazionale (VMRO-DPMNE), hanno fatto ricadere il paese nell'incertezza politica.
Qui di seguito una sintesi della corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 24 marzo a Radio Radicale.

La Macedonia da molti giorni sta sull'orlo possibili di elezioni anticipate. I partiti anche su questo aspetto per diversi motivi non si mettono d'accordo. Al fine di chiarire ancora una volta le decisioni da prendere in merito alle prossime elezioni anticipate, ci sono stati vari incontri tra i leader dei partiti e il presidente Gjorgje Ivanov. Dopo l'ultimo incontro, il premier Nikola Gruevski si è detto pronto ad accettare alcune delle richieste del leader del Partito socialdemocratico (all’opposizione) Branko Crvenkovski, ma solo qualora questi esprima la propria volontà a non boicottare le elezioni. Crvenkovski ha affermato che tale disponibilità è solo un modo per raggiungere un accordo.
Nei giorni scorsi, dopo sei ore di colloqui con Ivanov, i quattro leader non sono riusciti a raggiungere un accordo finale. Il governo resta convinto che le richieste di ultimatum di Crvenkovski, coordinate con l'esponente politico della minoranza albanese Imer Selmani, non possono ottenere alcun accordo. Il Governo ha accettato due delle quattro richieste chiave del partito socialdemocratico, con una condizione, ossia che quest'ultimo partecipi alle elezioni.
Ali Ahmeti, leader dell'Unione democratica per l'integrazione, una delle principali formazioni politiche albanesi, considera l'incontro ai leader come produttivo e costruttivo. Vi è stato un avvicinamento delle posizioni tra le due parti e così il Presidente Ivanov ha fatto appello ad un altro incontro dei leader. Nessuno può prevedere dei discorsi, ma speriamo che questo clima positivo continuerà, ha dichiarato Ahmeti dopo la prima riunione.
Il nuovo incontro si è concluso però ancora una volta con un fallimento. Il presidente Gjorge Ivanov non ha potuto che ribadire il messaggio di continuare i dialoghi all'interno del Parlamento. Secondo Ivanon e' triste constatare che tutti i leader politici della Macedonia non hanno la stessa comprensione per gli interessi statali e le stesse priorità. Il presidente macedone si è detto particolarmente deluso dal fatto che la richiesta fondamentale su cui non sono riusciti ad accordarsi riguarda le ingerenze nelle competenze della magistratura. "All'incontro ho rivolto il mio appello a tutti i partiti di raggiungere un compromesso con le rispettive posizioni dei partiti, nell'interesse delle integrazioni euro-atlantiche e di altre questioni aperte, al fine di superare questo ostacolo e riusciremo di trovare una soluzione per l'attuale impasse", ha annunciato Ivanov.
Egli ha sottolineato che è evidente che alcuni partiti non hanno le capacità di rinunciare alle loro direttive dell'interesse di tutti i cittadini. "Eravamo già pronti per le elezioni anticipate, ci si aspetta che lo siamo anche ora, soprattutto quando si è riusciti ad accordare un maggior numero di richieste tecniche per le elezioni democratiche e corrette", ha detto Ivanov. Il presidente ha inoltre espresso la sua speranza che tutti partiti politici troveranno il modo di partecipare alle elezioni anticipate, per sbloccare la mancanza di dialogo nel Paese.

sabato 26 marzo 2011

LA SERBIA E I SERBI OLTRE CONFINE

La strategia serba per i serbi oltre confine: stessi metodi del regime di Milosevic

(Foto Sareni/Flickr)
Di Marina Szikora [*]
Un commento del quotidiano di Zagabria 'Jutarnji list' osserva criticamente il comportamento della Serbia relativo alla tutela del popolo serbo otre i confini della Serbia che fa ricordare, secondo molti, la strategia portata avanti durante il regime di Slobodan Milošević.
Solo un giorno dopo che a Sarajevo e stato formato il contestato governo della Federazione BiH, a Banja Luka, venerdi' scorso, si e' svolta una riunione congiunta del governo serbo e quello della Republika Srpska. Questa riunione e' stata subito batezzata come storica in cui la Serbia ha promesso ai serbi del vicinato un credito di 19 milioni di euro. Secondo 'Jutarnji list' la Serbia avrebbe compiuto una gaffe decidendo a favore di un gesto cosi' forte di collegamento con l'entita' serba della BiH e questo proprio nel momento in cui nell'altra entita', quella a maggioranza musulmano-croata, e' culminata la crisi relativa alla formazione del governo che ostacola l'istituzione del governo a livello statale.
La riunione a Banja Luka e' frutto della Strategia di rafforzamento delle relazioni con i serbi nella regione che il governo della Serbia aveva approvato lo scorso 21 gennaio e secondo la quale proprio la BiH, vale a dire le sue due entita', dovrebbero essere al centro della politica estera e regionale della Serbia, ricorda 'Jutarnji list'. Sempre secondo questa Strategia, al secondo posto e' il Montenegro con la raccomandazione che a tutti i serbi montenegrini, qualora lo desiderino, sia concessa la cittadinanza mentre per quanto riguarda la Croazia, si sottolinea che la politica verso i serbi che vivono in Croazia richiede "un approccio particolare" affinche' "sia diminuita l'animosita' tra i serbi e il popolo maggioritario". Questa richiesta, tuttavia, e' stata eliminata dal documento a seguito di fortissime reazioni in Montenegro e un po' meno forti in Croazia.
Radio Europa libera osserva che la nuova strategia del governo di Belgrado, secondo molti, ricorda il famoso memorandum dell'Accademia serba delle scienze e sottolinea che anche Milošević inizio' la sua agressione proprio con la motivazione di "tutelare" la posizione dei serbi nelle altre repubbliche dell'ex Jugoslavia.
La Strategia e' parte della nuova politica della Serbia verso la regione, di cui fanno parte le persecuzioni contro l'ex difensore croato Tihomir Purda e l'ex ufficiale serbo bosgnacco Jovan Divjak a fin di equipareggiare la responsabilita' per la guerra, ha valutato la presidente del Comitato Helsinki della Serbia, Sonja Biserko. Secondo Biserko, con questo gesto, la Serbia vuole rafforzare il suo ruolo di leader nella regione balcanica e aggiunge che le autorita' serbe non hanno rinunciato alle aspierazione di Slobodan Milošević: si tratta della stessa politica, soltanto con mezzi diversi.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 24 marzo.

KOSOVO, TADIĆ: SOLUZIONE ACCETTABILE PER ENTRAMBE LE PARTI


Boris Tadić
Di Marina Szikora [*]
In una delle sue ultime dichiarazioni, il presidente serbo Boris Tadić afferma che la soluzione del conflitto storico serbo-albanese deve essere trovata in modo tale che una parte non ottenga tutto mentre l'altra perda tutto e ha aggiunto che la soluzione in nessun modo puo' essere lo scenario in cui la Serbia riconoscera' l'indipendenza unilaterale del Kosovo. Nell'intervista alla televisione di Priština, Tadić ha espresso speranza che dopo la fase introduttiva del dialogo tra i rappresentanti di Belgrado e Priština, ovvero la fase in cui si cerca di trovare la soluzione relativa a certe questioni tecniche, iniziera' anche la soluzione fondamentale di questo conflitto storico. "L'accordo storico tra albanesi e serbi deve essere legalizzato con un accettamento sia degli albanesi che dei serbi. I rappresentanti del popolo non possono raggiungere l'accordo che non sia accettato dallo stesso popolo. Cio' non significa che i rappresentanti legittimi del popolo non possono coraggiosamente portare avanti le idee e le soluzioni che non sono visibili proprio a tutti i rappresentanti del popolo ma che alla fine possono essere accettate con il referendum oppure con l'espressione del popolo" ha detto Tadić. Il presidente serbo ha sottolineato pero' che in questo momento non sarebbe utile uscire con proposte concrete, ma che esistono molti modelli che sono stati applicati nel passato nonche' la possibilita' che le due parti trovino un modello completametne nuovo per la soluzione del problema. Tadić ha sottolineato che nella ricerca della soluzione del problema kosovaro, non si puo' rinunciare alla salvaguradia della volonta' e dell'interesse dei serbi in Kosovo che non vogliono essere integrati nell'unilateralmente proclamato stato Kosovo. Ricordando che nel corso di oltre un secolo del conflitto serbo-albanese in Kosovo quello che aveva il potere ricorreva sempre alla forza, il presidente Tadić ha detto che questa continuita' di violenze deve terminare. In questo senso ha rilevato che tutti i crimini devono essere individualizzati e tutti quelli che li hanno commessi devono essere condannati. Di importanza cruciale, ha avvertito Tadić, e' che tutti i crimini devono essere indagati, non soltanto da una parte e non soltanto i crimini di un tipo di politici o partecipanti in questi eventi. Soltanto cosi', ha detto, "possiamo riconciliarci e assicurare che la gente viva meglio". Rispondendo alla domanda perche' non si e' scusato agli albanesi in Kosovo per i crimini che sono stati commessi contro di loro durante il regime di Slobodan Milošević, Tadić ha sottolienato che le scuse devono essere precedute dall'affrontare i crimini da entrambe le parti. Tadić ha ribadito la necessita' di indagare prima sui crimini e che alla fine si arrivera' alle parole di scusa come parte del processo politico che devono avere un obiettivo, quello della riconciliazione. "E' necessario che nel frattempo ci siano le indagini su tutto quello che e' successo e che ci siano i processi giudiziari che ci inducano verso lo stato di diritto" ha risposto Tadić.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est del 24 marzo.

giovedì 24 marzo 2011

24/3/1999: BOMBE NATO SULLA SERBIA

Belgrado: l'edificio del ministero della
difesa non ancora ricostruito dal 1999
(da landedinbelgrade.blogspot.com)
La sera del 24 marzo 1999, verso le 8 di sera, gli aerei della Nato cominciarono a colpire la Serbia per fermare la pulizia etnica contro la popolazione albanese del Kosovo. I bombardamenti, come si sa, andarono avanti per 78 giorni, fino alla resa del dittatore Slobodan Milosevic. Il Kosovo rimase formalmente territorio serbo, ma divenne un protettorato dell'Onu, fino alla proclamazione unilaterale dell'indipendenza. Dodici anni dopo “siamo costretti ad assistere al ripetersi di uno scenario quasi identico in un altro paese [la Libia, n.d.r.] che ora non solo è alle prese con la guerra civile, ma anche con raid aerei e missilistici mostruosamente distruttivi”, scrive oggi sul quotidiano Politika l'autorevole commentatore, Misa Djurkovic. "Di nuovo nel caso della Libia c'è una molto controversa risoluzione del Consiglio di sicurezza della Nazioni unite da cui recuperare il mandato per un intervento militare" scrive Djurkovic non risparmiando critiche a Cina e Russia per non aver opposto il veto e concludendo con amarezza che "dei poveri disgraziati […] ancora muoiono a causa delle esigenze delle grandi potenze occidentali".

Il parallelo tra le Serbia del 1999 e la Libia odierna è stato evocato anche dal premier russo Vladimir Putin che ieri da Belgrado, dove si trovava in visita ufficiale, ha criticato "la facilità con cui in questi ultimi anni si è ricorso all'uso della forza per la soluzione delle questioni internazionali". Parole che rivelano una notevole sfrontatezza, considerando cosa la Russia ha combinato in Cecenia. Forse però quello non conta, visto che si tratta di affari interni della Russia che evidentemente può massacrare e sterminare impunemente le proprie popolazioni. Come Milosevic con i kosovari non serbi. O Gheddafi con i libici. Al fianco di Putin, il presidente serbo, Boris Tadic, rievocando l'esperienza del suo Paese ha espresso "profonda preoccupazione per le sofferenze dei civili" in Libia. Nelle stesse ore da noi in Italia abbiamo ripreso ad ascoltare tutto il trito armamentario del popolo pacifista, piuttosto silente nei confronti del regime di Gheddafi (come lo fu con Milosevic), ma pronto a scattare come un sol uomo non appena vede garrire al vento le bandiere stars&stripes.

Sull'intervento Nato in Serbia mi sembra utile rileggere quanto diceva proprio due anni fa Sonja Biserko, in un'intervista di Lucia Manzotti intitolata “L'inevitabilità dell'intervento”, pubblicata il 24 marzo 2009 sul sito di Osservatorio Balcani e Caucaso. Alcune considerazioni, fatte le debite differenze e cambiando quello che c'è da cambiare, possono valere anche nel caso della Libia.

Ps: a scanso di equivoci vorrei precisare che l'intervento armato in Libia non mi entusiasma per niente e che mi piace anche meno il modo con cui esso è stato gestito in questi primi giorni. Ma trovo anche francamente insopportabili le ennesime giaculatorie pacifiste.

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 24 marzo a Radio Radicale

Il sommario della trasmissione

Turchia: il governo di Recep Tayyip Erdogan di fronte alla crisi libica e all'intervento armato contro Gheddafi, intervista a Marta Ottaviani, corrispondente di TMNews, Stampa e Avvenire

Energia, il mini-tour balcanico di Putin: il gasdotto South Stream nei Balcani, gli accordi economici Mosca-Belgrado, i rapporti Turchia-Russia

Kosovo: il presidente serbo Boris Tadic auspica un accordo giusto per entrambe le parti, il presidente kosovaro Behgjet Pacolli in visita ufficiale in Albania e Macedonia

Bosnia Erzegovina: il quadro politico resta difficile, nessuna soluzione per il governo centrale

Croazia: il giornale Jutarnji List ciritica Belgrado, sui serbi fuori dalla Serbia fa la stessa politica di Milosevic

Macedonia: si complica la situazione politica, possibili elezioni anticipate

Il sito Internet della settimana è il blog Balkan Crew - Il caffé delle diaspore

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione dei corrispodenti Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile qui



oppure sul sito di Radio Radicale nella sezione delle Rubriche.

mercoledì 23 marzo 2011

LIBIA: CHE GIOCO FA LA TURCHIA?

Il premier turco
Recep Tayyip Erdogan
“Coloro che governano la Libia devono andarsene immediatamente, per evitare il saccheggio delle ricchezze del paese da parte di altri”: lo ha detto il presidente turco Abdullah Gul ai giornalisti poco prima della sua partenza per il Ghana, invitando a ricordarsi del comportamento di Saddam Hussein e di tutto quello che è successo in Iraq e che potrebbe in qualche modo ripetersi in Libia. “E' importante per la Turchia che la situazione in Libia si concluda senza ulteriori spargimenti di sangue", ha concluso Gul che, secondo quanto riferisce l'agenzia Anadolu, ha telefonato a Gheddafi consigliandogli di lasciare il potere per evitare ulteriori bagni di sangue.

Ieri, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan aveva duramente criticato i bombardamenti compiuti dagli aerei delle potenze occidentali sulla Libia affermando che la Turchia “non punterà mai le proprie armi contro il popolo libico”. Parlando poi in serata al telefono con Barack Obama, Erdogan si è però detto d'accordo con il presidente Usa che i “contributi nazionali” per l'attuazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza “sono resi possibili dalle capacità di controllo e dal comando unico e multinazionale della Nato”. E a proposito del modo in cui l'Alleanza atlantica dovrebbe agire nella crisi libica, secondo Erdogan l'Onu dovrebbe guidare soltanto un'operazione umanitaria e non militare.

In precedenza lo stesso premier turco aveva affermato che il suo governo appoggerà un'operazione a guida Nato a condizione che venga condotta per garantire che la Libia appartenga al suo popolo, che le ricche risorse petrolifere del paese non vengano spartite fra altre nazioni e che l'intervento della Nato non si trasformi in un'occupazione militare della Libia. Erdogan ha aggiunto che la Turchia è pronta ad interventi umanitari in soccorso della popolazione libica, nella gestione dell'aeroporto di Bengasi e nel dispiegamento di una forza navale per monitorare il tratto di mare fra Bengasi e l'isola greca di Creta.

Le ultime dichiarazioni mostrerebbero, dunque, che, pur badando a non mettere in difficoltà la Nato (di cui rappresenta il secondo esercito dopo quello Usa), Erdogan voglia giocare una sua personale partita, alla ricerca di un ruolo regionale com'è stato quello dell'Egitto e con un occhio attento ai suoi fatti interni, ovvero le elezioni del 12 giugno e soprattutto il giro di affari da miliardi di dollari con la Libia. Il problema, come già scrivevo ieri, è che quando si tengono troppe carte in mano, si finisce per “incartarsi”. Anche perché la situazione in Medio Oriente sembra sull'orlo di una nuova crisi e la politica estera di Ankara, ispirata alla dottrina della “profondità strategica” del ministro Ahmet Davutoglu, non ha prodotto fino ad ora grandi risultati: ovvero, è stata un mezzo fallimento.

martedì 22 marzo 2011

LIBIA: LA TURCHIA CERCA UN RUOLO

La Turchia non intende partecipare alle operazioni militari contro la Libia ma potrebbe contribuire con operazioni umanitarie sul posto: lo ha detto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, secondo quanto riporta il quotidiano turco Hürriyet. “E' impensabile che i nostri caccia bombardino il popolo libico, è un eventualità impossibile”, ha detto Erdogan ieri sera di rientro da una visita in Arabia Saudita, aggiungendo che Ankara potrebbe mettere a disposizione la marina per operazioni di "controllo" nel Mediterraneo. “Non vogliamo che la Libia diventi un secondo Iraq: in otto anni una civiltà è stata distrutta e oltre un milione di persone sono state uccise", ha chiarito il premier.

Che la Turchia fosse disponibile a dare il suo apporto per risolvere la crisi libica “nel rispetto della sicurezza del popolo”, lo aveva comunicato il ministero degli Esteri turco in un comunicato diffuso sabato sera in cui si parlava di un “contributo nazionale necessario e adatto all'applicazione delle risoluzioni 1970 e 1973 dell'Onu, tenendo conto della sicurezza del popolo libico". E mentre da più parti (compresa la Farnesina) si spinga perché la Nato assuma il comando delle operazioni militari, la Turchia continua invece a frenare su un intervento dell'Alleanza come già aveva fatto domenica pomeriggio nel corso della riunione dei 28 ambasciatori del Consiglio atlantico svoltasi a Bruxelles.

"Il rappresentante turco ha chiesto che di rivedere il ruolo che potrebbe svolgere la Nato nell'applicazione della risoluzione 1973 dell'Onu sulla Libia, in particolare alla luce delle perdite civili che i bombardamenti in corso potrebbero provocare", ha detto alla France presse un diplomatico. E dopo aver di fatto impedito alla Nato di dare il via libera ai piani già pronti da tempo, ieri Ankara, per bocca del ministro della Difesa Vecdi Gonul, si è mostrata molto critica con il ruolo assunto dalla Francia dichiarando di non capire perché Parigi si comporti come se avesse la leadership delle operazioni militari in corso in Libia.

La Turchia, anzi, vuole dei chiarimenti sui piani della Nato in Libia e ritiene che il modo in cui è stata costruita la coalizione non sia conforme alle norme internazionali. Non intendiamo ostacolare il processo, ha detto il ministro degli Esteri Ahmed Davutoglu, ma “abbiamo il diritto di porre certe questioni e pensiamo di avere il diritto di ricevere certe risposte”, perché la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'Onu non prevede l'avvio di una “guerra globale” in Libia. “La Turchia sarà sempre amica della Libia e lavorerà per la sua prosperità", ha chiarito Davutoglu.

Come scriveva ieri Marta Ottaviani sul suo blog, la Turchia sta facendo di tutto per rimanere fuori il più possibile dalla crisi libica, "adottando una strategia di basso profilo che è molto furba e predilige gli interessi nazionali nell'area piuttosto che l'appartenenza a organizzazioni internazionali". Marta Ottaviani fa riferimento ad alcuni quotidiani turchi secondo i quali il governo Erdogan starebbe temporeggiando perché vorrebbe giocare un ruolo di mediazione quando il conflitto sarà finito. Ma, concludo io, se il conflitto non si risolve in fretta Ankara dovrà schierarsi e a quel punto potrebbe non avere più carte da giocare.

lunedì 21 marzo 2011

CRISI POLITICA SENZA FINE IN BOSNIA

di Marina Szikora [*]
I croati, in due paesi, dalle due parti del confine, protestano. In Croazia a causa dell'insoddisfazione sociale e politica, ma adesso anche in Bosnia Erzegovina dopo che a seguito di notevoli ritardi e disaccordi sulla formazione del nuovo governo, e' stato istituito il governo nella Federazione di Bosnia Erzegovina, l'entita' a maggioranza musulmano croata. Anche se i due maggiori partiti croati, le due HDZ avevano ottenuto l'80 percento delle preferenze alle elezioni che si sono svolte lo scorso 3 ottobre, questi due partiti sono stati eliminati dal potere con, come si afferma, una grave violazione costituzionale da parte dei partiti bosgnacchi. Per questo motivo, sabato scorso, nelle principali piazze di Mostar, Žepča, Orašje, Vitez e Livno i cittadini si sono riuniti in segno di protesta lanciando il messaggio di non riconoscere il nuovo governo. Per precisare, il Partito socialdemocratico con il Partito croato del diritto e il Partito de lavoro e del benessere, dopo il fallimento dei negoziati che la comunita' internazionale aveva condotto con i due HDZ, hanno deciso di istituire autonomamente il governo nella Federazione BiH, eleggendo il nuovo esecutivo e il suo presidente con una approvazione silenziosa da parte della comunita' internazionale. C'e' da dire che l'intero processo dell'elezione del nuovo presidente e Governo deve passare la procedura delle due camere del Parlamento nella Federazione croato-bosgnacca. E mentre l'elezione e' passata regolarmente alla Camera dei deputati, questo non e' stato il caso della Casa del popolo concepita nazionalmente e composta da 17 deputati croati, serbi e bosgnacchi. Nel momento del voto, persino 11 croati non sono stati presenti. La presidente della Fedrazione ha chiesto che la Commissione centrale elettorale neghi l'elezione del potere esecutivo. Dai due HDZ hanno annunciato che non rispetteranno le decisioni del Governo il che rappresenta indubbiamente l'inizio della piu' grande crisi politica nel Paese dalla firma degli accordi di pace di Dayton. Anche il leader della Republika Srpska, il presidente Milorad Dodik, ha dichiarato che non collaborera' con il governo eletto illegittimamente nella FBiH.

Come commentano i giornali croati, la composizione del governo nell'entita' FBiH si e' svolta senza la partecipazione dei maggiori partiti croati, l'HDZ BiH di Dragan Čović e l'HDZ 1990 di Božo Ljubić. Il nuovo premier della Fedrazione BiH e' al momento Nemir Nikšić dello SDP BiH e il governo e' composto da quattro partiti firmatari della cosidetta Piattaforma: SDP BiH di Zlatko Lagumdžija, SDA di Sulejman Tihić e dai due partiti minori con sede nella parte croata dell'entita', cioe' Herzegovina: HSP BiH e Partito popolare con il lavoro per il benessere dietro ai quali ci sono i proprietari dell'industria di carne in Herzegovina. Il nuovo potere esecutivo nella Federazione e' stato quindi formato senza i due maggiori partiti croati che alle ultime elezioni hanno ottenuto circa 80 per cento di voti degli elettori croati. I due leader dell'HDZ, Čović e Ljubić hanno sottolineato che in questo modo e' stata negata la volonta' dei cittadini croati della BiH espressa alle elezioni. L'attuale situazione molto probabilmente, sono dell'opinione gli analisti, contribuira' alla crisi nella formazione del potere a livello statale, un altro nocciolo duro che finora non e' stato risolto. Resta quindi del tutto incerto quando finalmente la BiH potra' avere il nuovo governo, vale a dire il Consiglio dei ministri poiche' questo e' praticamente impossibile senza l'appoggio dei due HDZ e senza i partiti della Republika Srpska. Il presidente dell'HDZ BiH, Dragan Čović, scrive il quotidiano di Sarajevo 'Dnevni avaz', ha qualificato l'istituzione del nuovo esecutivo nella Federazione BiH come "colpo di stato e rovesciamento dell'ordinamento costituzionale". Secondo il presidente dell'HDZ 1990, Božo Ljubić "questo e' l'inizio della piu' profonda crisi politica dai tempi della guerra ad oggi" e ha accusato lo SDP e SDA di "avanturismo. Essi sottovalutano la serieta' della situazione e la fermezza croata di salvaguardare il suo diritto e l'essere costitutivo in BiH".

Non sono rimasti da parte e senza preoccupazioni serie nemmeno i vertici in Croazia. Il presidente croato Ivo Josipović e la premier Jadranka Kosor hanno rilasciato sabato una dichiarazione congiunta in cui hanno chiamato tutti i fattori politici rilevanti in BiH di non rinunciare alla politica di dialogo nella ricerca di soluzione che assicurera' l'eguaglianza istituzionale di tutti i popoli e cittadini costituenti, di ostacolare la possibilita' di maggiorizzazione e di garantire la funzionalita' e prosperita' della BiH. Nella dichiarazione congiunta si afferma che Josipović e Kosor seguono con attenzione lo sviluppo delle vicende in BiH dopo che i sogetti politici nella Fedrazione BiH non sono riusciti a raggiungere l'accordo sul nuovo governo il quale avrebbe dovuto includere i rappresentanti della maggioranza come espressione della volonta' politica del popolo croato in BiH. "In questo senso, la Repubblica della Croazia sollecita tutti i fattori politici in BiH di non mettere a repentaglio le fondamenta della stabilita' bensi' di costruirvi il futuro euroatlantico" sottolineano Josipović e Kosor. Domenica, il presidente e la premier croati hanno ricevuto a Zagabria i due leader delle due HDZ della BiH. In un'altra dichiarazione i vertici croati si sono detti preoccupati dell'attuale situazione in BiH dopo che Čović e Ljubić hanno denunciato che "con l'istituzione del potere esecutivo nella Federazione BiH sono stati violati la costituzione e le leggi della Federazaione nonche' lo spirito di Dayton poiche' nella formazione del governo sono stati esclusi i rappresentanti legittimi del popolo croato". Nel comunicato rilasciato a seguito dell'incontro si dice che "per stabilire le buone relazioni tra tutti e tre popoli e' stato impiegato molto tempo e la buona volonta' di tutte le parti e' sarebbe veramente tragico se questi rapporti venissero minacciati".
[*] Corrispondente di Radio Radicale

PASSAGGIO IN ONDA

La puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 17 marzo a Radio Radicale

Sommario della trasmissione

Croazia: il punto sulla situazione politica e sullle manifestazioni contro il governo di Jadranka Kosor dopo l'intervento del presidente Ivo Josipovic

Albania: le nuove accuse di corruzione al governo da parte dell'opposizione e la situazione politica mentre di fatto è cominciata la campagna elettorale per le amministrative di maggio

Kosovo: le speranze sui nuovi negoziati tra Serbia e Kosovo alla luce anche della fragile situazione politica a Prostina e del dossier del Consiglio d'Europa che accusa il premier kosovaro Thaci di gravi crimini 

Turchia: il Parlamento europeo critica seriamente la Turchia sulla libertà di stampa e suscita la dura reazione di Ankara, impegnata anche in un braccio di ferro con la Russia sul gasdotto South Stream 

Bosnia: il paese ancora senza un governo centrale a cinque mesi e mezzo dalle elezioni e mentre si acuiscono le tensioni interne 

Macedonia: il paese attende di aprire i negoziati per l'adesione all'UE ma al momento è impreparato a reggere la concorrenza commerciale con i paesi dell'Unione Europea.

Il sito Internet della settimana è il portale Le Courrier des Balkans

La trasmissione è stata realizzata con la collaborazione di Marina Szikora e Artur Nura ed è riascoltabile direttamente qui



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giovedì 17 marzo 2011

VIVA L'ITALIA

Oggi è il compleanno del mio Paese, l'Italia unita compie 150 anni.
Io trovo patetica la retorica patriottarda, detesto il nazionalismo e mi sento europeo ed europeista, ma mentirei se dicessi che l'inno di Mameli mi fa schifo o che il tricolore mi lascia indifferente.
Perché io sono italiano, sono nato e cresciuto qui. L'Italia è il mio Paese e gli voglio bene anche se mi fa incazzare un giorno sì e l'altro pure. Per questo, oggi, voglio augurargli buon compleanno.
Auguri Italia e auguri a tutti noi.

RUSSIA-TURCHIA: BRACCIO DI FERRO SU SOUTH STREAM

Mentre il mondo segue, giustamente, con apprensione gli eventi giapponesi e le conseguenze sull'economia globale e si interroga, opportunamente, sulle scelte energetiche da intraprendere alla luce del disastro della centrale nucleare di Fukushima, Russia e Turchia sono impegnate in un braccio di ferro sul progetto South Stream, il progetto di gasdotto frutto di una joint venture Gazprom-Eni considerato strategico per l'approvvigionamento di gas dell'Europa occidentale. Lungo 3600 chilometri e con una capacità di 63 miliardi di metri cubi l'anno, South Stream dovrebbe portare il gas russo a Ovest attraverso Mar Nero e Balcani. Il progetto è in diretta concorrenza con quello europeo Nabucco, visto con favore anche dagli Usa, pensato per ridurre la dipendenza energetica del Vecchio Continente dalla Russia convogliando il gas del Mar Caspio direttamente in Europa attraverso la Turchia.

La Turchia, dal 10 dicembre, non ha ancora dato il permesso di far passare South Stream nelle sue acque territoriali. La visita del premier turco a Mosca, nella quale Erdogan tra l'altro ha ribadito che, nonostante l'incidente giapponese, la Turchia intende procedere con la costruzione di una centrale nucleare (che dovrebbe essere realizzata proprio dalla Russia) si è conclusa con un nulla di fatto e per ora Ankara continua a negare il permesso di passaggio di South Stream nelle sue acque territoriali del Mar Nero. La questione sta assumendo contorni molto seri, al punto che il vicepremier Igor Sechin, in un'intervista al quotidiano economico Kommersant, è arrivato a dire che Mosca potrebbe anche rinunciare a far passare il gasdotto sotto il Mar Nero. “Gazprom e il governo russo stanno studiando diverse possibilità per minimizzare le spese di realizzazione del progetto South Stream” ha detto Sechin.

Secondo Gazeta.ru, la Turchia sta cercando di ottenere uno sconto sul prezzo del gas che acquista da Gazprom. Denis Borissov, analista di Bank of Moscow, ritiene che la Russia potrebbe fare concessioni ma solo se la Turchia accettasse di far passare il gasdotto sotto il Mar Nero. Il premier russo Vladimr Putin ha incaricato il ministro dell'Energia, Sergei Shmatko, di riflettere sul progetto di un impianto di produzione di gas liquefatto sul Mar Nero. La possibilità di costruire un tale impianto, ha dichiarato il vice premier Sechin a Kommersant, “può essere sia un complemento, sia un'alternativa al gasdotto” dato che “un impianto di liquefazione del gas si può costruire anche nel nord della Russia con il gas della penisola di Yamal". Ma gli analisti intervistati proprio da Kommersant sostengono che tale progetto è un bluff e che la Turchia lo sa benissimo: "La Russia non può rinunciare in nessun modo a South Stream, nella misura in cui l'immagine del premier Vladimir Putin e gli accordi conclusi con i paesi dell'Europa orientale ne soffrirebbero troppo". dice Mikhail Krutikhin di RusEnergy.

(Da un lacio dell'agenzia TMNews con fonte Afp)

mercoledì 16 marzo 2011

MONTENEGRO: I "FEJSBUKOVCI" PRONTI A SCENDERE IN PIAZZA

Come in Croazia, anche in Montenegro la protesta contro "le mafie" e la crisi economica si prepara a scendere in piazza e Facebook diventa il veicolo della mobilitazione popolare spontanea. I "fejsbukovci", ovvero quelli di Facebook, annunciano una prima manifestazione a Podgorica per lunedì 21 marzo prossimo. Secondo quanto hanno riportato i media locali, due giorni fa il gruppo di facebook, il primo nucleo di "proteste dal basso", contava circa 1400 membri.
Al momento, tra le richieste dei fejsbukovci montenegrini non rientrano le dimissioni del governo di centro destra guidato da Igor Luksic e le elezioni anticipate, come è invece per i vicini croati. Ma i temi di fondo sono gli stessi: crisi economica, perdita di potere d'acquisto dei salari, abbassamento del livello di vita e la controversa vicenda delle privatizzazioni che ha spalancato le porte ad affari leciti e illeciti.
Anche in Montenego gli organizzatori delle proteste sono dei "perfetti sconosciuti" nella politica tradizionale, ma sono invece ben noti al mondo dei blog e dei social network. Diversi esponenti dell'opposizione parlamentare e di Ong hanno però colto l'occasione e sono già iscritti al gruppo di Facebook promotore della manifestazione di lunedì prossimo.

NOTIZIE DALL'ALBANIA

da Tirana, Artur Nura [*]
In Albania siamo in campagna elettorale e i partiti hanno iniziato ad usare tutto il possibile allo scopo di convertire la situazione recente al loro favore nella gara elettorale. “Do it green” oppure “L'Albania verde" e’ già il motto ufficiale del Partito Democratico [il partito del premier Sali Berisha, n.d.r.] nella campagna elettorale per l`8 maggio.

Intanto sono passati tre anni dalla tragedia del 15 marzo 2008 a Gerdec, a 15 chilometri da Tirana, durante la quale, a causa dell'esplosione di una fabbrica di smantellamento delle armi persero la vita 26 persone, tra cui donne e bambini, fu provocato certamente un disastro ambientalista: l’opposizione ha deciso di fare la sua manifestazione di protesta proprio allo stesso villaggio di Gerdec.

Un altro evento con conseguenze sulla politica riguarda il sempre attuale problema della corruzione. Le autorità doganali albanesi hanno fatto luce sulle indagini relative alla esportazione di petrolio “virgin2, che hanno condotto tempo fa all'arresto di 13 persone, precisando che l'inchiesta ha avuto inizio quasi un anno fa, prima che l`ex ministro dell'Economia, Dritan Prifti, esponesse i dati relativi alle irregolarità sul mercato del petrolio in Albania agli organi d'informazione.

Il Partito Socialista ha accusato di nuovo il premier Sali Berisha indicandolo come dirigente del contrabbando del petrolio “virgin” in Albania. In una comunicazione con la stampa, il deputato Ilir Beqja ha dichiarato che, con l'introduzione sul mercato del petrolio grezzo, il premier e la sua "banda" hanno danneggiato la salute degli albanesi.

[*] Corrispondente di Radio Radicale

Ulteriori informazioni nella prossima puntata di Passaggio a Sud Est in onda domani, 17 marzo, alle ore 6,20 su Radio Radicale. Successivamente la registrazione sarà disponibile su RadioRadicale.It

martedì 15 marzo 2011

UN GIORNO CON JOVAN DIVJAK

Jovan Divjak: Siamo andati a trovarlo a Vienna
di Andrea Rizza

Il testo che segue è tratto dal sito della Fondazione Alexander Langer. Ringrazio Edi Rabini per la segnalazione.

Domenica siamo andati a trovare Divjak a Vienna e mi aveva chiesto di fargli avere una raccolta stampa di quello che era uscito in Italia sul suo arresto ..oltre al bellissimo pezzo di Rumiz (che a Jovan è piaciuto molto) gli ho fatto avere l'appello che è stato fatto partire da Trieste (con tutta la lista dei firmatari) e vi ringrazia di cuore per la solidarietà e l'amicizia dimostratagli (si è commosso a vedere la lunga lista dei firmatari).
Abbiamo registrato una breve video-intervista nella quale si rivolge agli amici italiani ringraziandoli ..il tempo di montarla e di sottotitolarla e la faremo girare.
Per il resto ci tiene a farvi sapere che sta bene ..
Io l'ho trovato infatti molto sereno ..nessun rancore per quello che sta vivendo.
Si sente molto sicuro per quanto riguarda la qualità dell'assistenza legale che gli hanno procurato ..attualmente è alloggiato presso la residenza privata dell'ambasciatore bosniaco .. Non è sottoposto ad un regime di arresti domiciliari veri e propri ..può uscire e ricevere visite con la sola accortezza (su indicazione del legale) di stare attento a parlare del "caso" ..
Riguardo al caso stesso ci dice che secondo lui si è trattato di un errore della polizia di frontiera austriaca in quanto qualche mese fa era stato fermato a Berlino e la polizia germanica ha ritenuto che non ci fossero gli estremi per l'arresto ..per questo pensa che gli austriaci abbiano concesso l'uscita su cauzione così presto e un regime di domiciliari così blando ..
A proposito ..la cauzione è stata pagata dal Cantone di Sarajevo e ci ha detto che in Bosna è venuto fuori un mezzo casino ..il buon Dodik, oltre a fare pressioni sull'ambasciatore accusandolo di spendere soldi pubblici per un "criminale di guerra", ha sollevato la stessa obiezione a proposito del pagamento della cauzione ..
Ci dice che pensa che si tratti di una precisa volontà politica della Serbia ..nè lui, nè gli austriaci, nè il suo legale hanno ancora ricevuto i capi d'imputazione dal tribunale della Serbia ..ci dice, quasi sottovoce, che non gli perdonano di aver lasciato la JNA per la ARBiH e che la Serbia cerca a tutti costi di far incriminare qualche personaggio bosniaco di rilievo, simbolico, con lo scopo di "riequilibrare" le responsabilità serbe,croate e bosniache per le guerre jugoslave 91-95 ..ci avevano provato con Izetbegovic, ma la Del Ponte rispose picche ..
Adesso in Croatia c'è una grossa discussione politica riguardo all'ipotesi di incriminazione di Tudjman per l'operazione Oluja in Krajna di agosto 95 ..la Serbia ha già il suo bell'album di criminali di guerra e per quanto riguarda la Bosnia, l'unico che poteva essere simbolico, Naser Oric, se l'è cavata con una bacchettata sulle dita .. in più, circa una settimana prima che fermassero Divjak a Vienna, il tribunale bosniaco per i crimini di guerra (giustizia locale BiH), ha aperto il procedimento per il massacro di Kravica, che è il primo passo verso il genocidio di Srebrenica
Un pò deluso ci dice che non vede nessuna volontà politica di uscire dalla logica dei blocchi etnici che blocca il paese ..ci dice che Dodik sta facendo gli occhi dolci ai croati-bosniaci, sostenendo la delirante ipotesi di terza entità, la Herceg-Bosna, che in pratica legittimerebbe oltre ogni ipotesi di revisione di Dayton, l'esistenza di quell'aborto genocidiale che è la Republika Srpska ..
Prevede tempi simili a quelli di Ganic per ritornare a casa ..quatto mesi ..nel frattempo ha deciso che ha voglia di scrivere e usciamo per cercare una cartoleria aperta ..
[domenica 13 marzo -Andrea Rizza]


Un giorno a Vienna con Jovan Divjak
di Federico Zappini

Il testo che segue è tratto dal blog Pontidivista. Ringrazio Edi Rabini per la segnalazione.

E’ sempre piacevole incontrare Jovan Divjak. E’ strano però non incontrarlo nella “sua” Sarajevo, ma in una giornata di fine inverno a Vienna. Cielo grigio e un vento caldo ma fastidioso.
Partiamo da Bolzano alle sette e mezzo. Sei ore scarse di macchina ed eccoci in Austria.
Due ore di chiacchierata aprono altre mille parentesi, mille interrogativi. Divjak parla di tutto, davanti ad un tavolo pieno di giornali di mezza Europa che riportano la sua immagine e raccontano del suo arresto.
In così poco tempo non si può esaurire la voglia di approfondire la storia dell’assedio di Sarajevo, della guerra in ex-Jugoslavia e del futuro di un territorio tanto martoriato. Si parla ovviamente di Bosnia, ma si accenna anche al calcio italico ormai escluso dalla Champions League e a qualche canzone in italiano.

L’arresto. “All’areoporto di Vienna – dice – mi hanno fermato senza sapere chi fossi, senza dirmi il perchè e ancora oggi non so dire con certezza i capi d’imputazione che mi vengono contestati.” Dovrà attendere a Vienna le decisioni del tribunale. Nessuna vena complottista nel suo spiegare i fatti, solo una forte consapevolezza che sarebbe potuto succedere. Una consapevolezza che non lo ha tenuto fermo a Sarajevo negli ultimi anni.

Gli errori che portarono alla guerra. Il suo sguardo verso il passato non è nostalgico. La sua analisi impietosa. Nessuno sconto verso chi ha soffiato con forza su fuoco dello scontro etnico e lo ha portato alle peggiori conseguenze. Nessun problema nel parlare degli errori commessi da chi gli stava vicino, come il Presidente bosniaco Alija Itzetbegovic, che di fronte agli incontri diplomatici in corso prima del 1992 – certo di un forte appoggio dei paesi arabi – disse: “Meglio liberi che schiavi dei serbi”, accettando la guerra. Una scelta che costò alla Bosnia più di centomila vittime.

Le previsioni sbagliate. Un occhio al passato e uno al presente. Alla domanda su quale sia la situazione attuale della Bosnia Erzegovina Divjak ci risponde con un aneddoto. “All’inizio della guerra – racconta – mi chiesero quanto sarebbe durata. Dissi un mese, dopo un mese di guerra mi corressi dicendo quattro anni. Nel 1995 mi domandarono quanto tempo ci sarebbe voluto per dare corpo agli Accordi di Dayton. Risposi qualche anno, ora dico (ndr. con tristezza) molti anni ancora.” Allo stato attuale delle cose sembrano esserci ancora troppe incongruenze tra i contenuti degli accordi e i reali risultati raggiunti (le minoranze discriminate nelle tre parti della Bosnia Erzegovina, la non chiarezza nella dismissione degli armamenti, il sistema dell’istruzione che si basa ancora sulle divisioni etniche). Un contesto davvero poco promettente.

Quattro verità, nessuna volontà. Chiediamo come si possa imboccare il percorso di verità, giustizia e riconciliazione se rimangono vive tre verità (una croata, una serba e una bosniaca) per narrare una stessa storia. Divjak sorride e dice che le verità sono quattro, tenendo conto di quella della comunità internazionale, protagonista – non sempre eccellente – delle vicende balcaniche. E aggiunge che non c’è da parte di nessuno la volontà di affrontare una fase così complessa, mentre per tanti- soprattutto per i politici, di ogni parte – la condizione attuale va bene. In fin dei conti sono condivise da tanti le parole di una scrittrice bosniaca che Divjak riprende: “La merda in cui stiamo sicuramente puzza, ma almeno ci riscalda”. Il calore di un nazionalismo ancora dominante, alla base di tutte le divisioni, le ingiustizie e le sofferenze. Un vicolo cieco da cui non sembra esserci uscita.

Prima di andarcene – mentre camminiamo nel centro di Vienna – chiede di poter salire in bicicletta. Guarda l’obbiettivo della telecamera e ringrazia tutti quelli che da sempre gli stanno vicini e che negli ultimi giorni lo hanno aiutato e sostenuto. Poi sorridendo dice solennemente: “Tornerò pedalando verso Sarajevo.”
Buon viaggio, Jovan Divjak.
[domenica 13 marzo -Federico Zappini]

lunedì 14 marzo 2011

NEWSROM. INFORMARE SENZA PREGIUDIZI

Una iniziativa organizzata dall'Associazione Giornalisti Scuola di Perugia presso la Sala convegni della Fnsi

Li chiamiamo zingari, ma i Rom, i Sinti e i Camminanti sono un popolo ricco di storia e tradizioni, arrivato in Europa, dalla piana del Gange più di 600 anni fa.
Un popolo tutt’altro che nomade e apolide: stanziale è l’80% dei Rom e dei Sinti che vivono in Europa, secondo l’indagine della Commissione diritti umani del Senato. E’ cittadino italiano – dice l’Opera Nomadi - oltre la metà dei Rom che vivono nel nostro Paese; l’altra metà viene dai Balcani o dalla Romania.

Un popolo di bambini. Solo il 2,8% dei Rom che vive in Italia ha più di 60 anni. Bambini come Raul di 4 anni, Fernando di 5 anni Patrizia di 8 e Sabatino di 11: i quattro fratellini morti a Roma, alcune settimane fa, nel rogo della loro baracca. Situazioni che purtroppo si ripetono ad intervalli regolari di tempo, frutto spesso dell'assenza di risposte adeguate a realtà sociali difficili e che inevitabilmente finiscono per degradarsi. Nella Capitale vivono circa 7200 Rom, il piano nomadi messo a punto dal Comune prevede la chiusura dei circa 80 campi attualmente operanti e il trasferimento di circa 6000 Rom in 13 villaggi autorizzati che prevedono all’interno presidi educativi e socio sanitari, situati nella periferia della città. Per Amnesty International è la risposta sbagliata al problema. Per il Comune di Roma è la soluzione alla realtà dei Rom, che nei villaggi organizzati potranno vivere con dignità. Ma siamo ancora lontani dall’idea di realizzazione di case e contesti abitativi per i Rom, come avvenuto invece a Modena, Padova e Settimo Torinese.

Sono calderai, ramai o circensi. Ma come vivono, chi sono, cosa vogliono i Rom che vivono in Italia? Perché quasi un italiano sue due (dati Eurobarometro) si dichiara “a disagio” con l'idea di avere un Rom come vicino di casa, contro una media UE del 24%?

A queste domande cercheremo di rispondere il 23 marzo, a Roma, presso la Sala conferenze della FNSI (C.so Vittorio Emanuele II, 349), nella prima di tre giornate sul mondo Rom destinate a giornalisti.

“NewsROM - Informare senza pregiudizi” è un’iniziativa organizzata dall'Associazione Giornalisti Scuola di Perugia nell’ambito della Campagna Dosta! promossa dal Consiglio d’Europa, coordinata e finanziata dall’Ufficio nazionale Antidiscriminazioni razziali (Unar) del Ministero per le Pari Opportunità.

L’evento, patrocinato da Federazione Nazionale della Stampa, Ordine nazionale dei giornalisti, Associazione Stampa Romana e Ordine dei giornalisti del Lazio, si propone di favorire il confronto e la riflessione degli operatori dell’informazione su come i media raccontano la realtà delle comunità Rom, così spesso al centro della cronaca di quotidiani e telegiornali. Una discussione che mira a sfatare tanti luoghi comuni, combattere i pregiudizi e ad aprire squarci di conoscenza sul mondo Rom.

Di seguito, alleghiamo il programma della giornata, con la speranza di poter avere la vostra gradita partecipazione. Per ogni ulteriore informazione e per la “registrazione” all’evento vi rimandiamo al sito internet - http://www.newsrom.it/ - dedicato all’iniziativa.

“NewsROM. Informare senza pregiudizi”
Roma, 23 marzo, Sala convegni della FNSI

PROGRAMMA

Ore 9,30 – Saluti
Massimiliano Monnanni, direttore dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar)
Roberto Natale, presidente Federazione Nazionale Stampa Italiana
Bruno Tucci, presidente Ordine dei Giornalisti del Lazio
Paolo Butturini, segretario Associazione Stampa Romana

Introduce Roberto Chinzari, segretario Associazione Giornalisti Scuola di Perugia

Ore 10,15 – Inizio lavori, sessione mattutina
Prof. Marco Brazzoduro, docente di Politiche Sociali, presso la facoltà di Scienze Statistiche, Università "La Sapienza" di Roma
Matilde Caraballese, ricercatrice presso l'Università ''Orientale'' di Napoli
Paolo Ciani, responsabile per Rom e Sinti della Comunità di Sant'Egidio
Dijana Pavlovic, attrice e vicepresidente della “Federazione Rom & Sinti insieme”
modera Maria Soave, Tg1

Ore 13.30 – Pausa pranzo – buffet lunch

Ore 15 – Inizio lavori, sessione pomeridiana
Patrizia Caiffa, Agenzia Sir (Servizio informativo religioso)
Luca Cefisi, autore del libro ''Bambini ladri''
Giorgio De Finis, giornalista e regista
Mons. Enrico Feroci, direttore Caritas diocesana di Roma
Carla Manzocchi Giornale Radio Rai
Prof. Santino Spinelli, docente di Lingua e Cultura Romanì presso l'Università di Trieste
modera Andrea Bovio, Tg2

CROAZIA: IL PRESIDENTE JOSIPOVIC INTERVIENE NELLA CRISI POLITICA

Il presidente croato Ivo Josipovic
Si aggrava la situazione politica in Croazia, nell'anno in cui dovrebbe chiudersi il negoziato per l'adesione all'UE e in cui sono fissate le elezioni generali. Le manifestazioni contro il governo di centro-destra di Jadranka Kosor (Hdz) sono ormai all'ordine del giorno. Il capo dello stato ha deciso così di prendere in mano la situazione ed esercitare i poteri che gli sono attribuiti dal sistema semi-presidenziale istituito undici anni fa. E' la prima volta che accade. Ivo Josipovic ha convocato venerdì scorso tutti i presidenti dei partiti politici presenti in parlamento per consultazioni sulla situazione politica nel Paese. Il presidente croato ha spiegato di aver convocato i leader politici per parlare della stabilità del Paese perché essa non ha alternative.

di Marina Szikora [*]
"Senza uno stato stabile neanche gli imprenditori possono lavorare e la Croazia così non puo' essere uno stato membro buono e con pari diritti nell'Ue" ha dichiarato Josipovic. Il presidente ha precisato che la gente e' insoddisfatta e protesta non perche' le piace marciare per le strade, gettare uova, portare manifesti, ma manifesta perche' soffre, perche' e' difficile, perche' non ha posti di lavoro, perche' lavora ma non riceve stipendi, perche' loro e le loro famiglie hanno fame. Secondo il Presidente, per risolvere questi problemi in Croazia e' indispensabile la stabilita' e ha sottolineato che "stabilita' politica ed economica si condizionano reciprocamente".
Nella giornata di venerdi' quindi, si sono svolti i colloqui del capo dello stato con tutti i rappresentanti dei partiti politici con rappresentanza in parlamento. Il primo e' stato l'incontro con i presidenti della coalizione dell'opposizione: del Partito socialdemocratico, del Partito popolare croato – liberali democratici, del Partito croato dei pensionati e del Sabor democratico istriano. Le due principali posizioni dei leader dell'opposizione sono la conclusione dei negoziati di adesione ma anche elezioni parlamentari al piu' presto che dovrebbero svolgersi prima del referendum sull'ingresso della Coazia nell'Ue. La presidente del partito governativo – dell'Unione democratica croata (HDZ) e premier croata Jadranka Kosor, accompagnata dai ministri degli esteri, dell'economia e dell'agricoltura ha valutato l'incontro con il presidente Josipovic come «costruttivo e molto aperto». Dopo un'ora e mezzo di riunione, Kosor ha dichiarato che all'inizio della settimana prossima convochera' tutti i membri della coalizione governativa per riassumere i colloqui nell'Ufficio del Presidente e verranno prese, come ha detto, alcune decisioni. A seguito di questa riunione, invitera' i rappresentanti dei partiti di opposizione per stabilire se e' possibile rinnovare l'Alleanza per l'Europa a fin di concludere i negoziati e parlare della data delle elezioni.
Un altro interlocutore con il capo dello stato e' stato il presidente del Partito croato social-liberale, Darinko Kosor il quale ha dichiarato che il suo partito, ex membro della coalizione governativa, appoggia una veloce conclusione dei negoziati con l'Ue ma dalla coalizione governativa si aspetta di stabilire entro alcuni giorni la data delle elezioni parlamentari. Il partito della destra, il Partito croato del diritto (HSP) con a capo Daniel Srb ha dichiarato invece di essere contrario all'ingresso della Croazia nell'Ue ma che le elezioni devono svolgersi al piu' presto «perche' vengano risolti i problemi e le tensioni della sicieta', debloccato il sistema dell'amministrazione statale e messo in funzione dello sviluppo economico poiche' la Croazia per molto tempo si trova in una crisi economica e crisi di governamento statale». Le elezioni parlamentari dovrebbero svolgersi entro la fine d'autunno, ha detto invece il leader del Partito croato dei contadini, Josip Friscic, partner della coalizione governativa. Secondo Friscic la Croazia deve prima concludere i negoziati il che e' atteso a fine giugno e lo stesso mese bisogna decidere la data delle elezioni parlamentari che, secondo il presidente dei contadini, dovrebbero svolgersi in autunno. Il presidente dei Laburisti croati – Partito del lavoro, Dragutin Lesar, attivo recentemente anche nelle manifestazioni in piazza, ha fatto sapere al Presidente croato la richiesta del suo partito: dimissioni immediate del governo e elezioni subito perche' ritiene che questo governo non puo' concludere con successo i negoziati di adesione. I rappresentanti delle minoranze da parte loro, in quanto partner della coalizione governativa, chideranno al governo di decidere in accordo con l'opposizione, entro sette-dieci giorni, la data delle elezioni, impegnandosi affinche' le elezioni si svolgano prima del referendum sull'adesione e subito dopo i negoziati con l'Ue. Il vicepresidente del partito dei serbi in Crozaia, Milorad Pupovac ha dichiarato che la posizione della sua minoranza, condivisa con il presidente, e' quella di indire le elezioni prima del referendum sull'adesione e a conclusione dei negoziati. Ha espresso preoccupazione per le crescenti tensioni politiche e per la crisi politica indicando come soluzione di questa soluzione il raggiungimento di un accordo tra governo e opposizione nell'arco di una settimana o al massimo entro dieci giorni. Il rappresentante della minoranza italiana in Croazia, Furio Radin e' dell'opinione che e' innimaginabile che il referendum sull'adesione si svolga prima delle elezioni poiche' i temi elettorali non devono influenzare il referendum sul parere dei cittadini relativo all'ingresso del loro paese nell'Ue.
A fine colloqui con tutti i rappresentanti politici in parlamento, il presidente croato Ivo Josipovic si e' rivolto all'opinione pubblica dichiarando che «l'obiettivo della riunione, tra l'altro, e' stato quello di sollecitare il proseguimento del dialogo politico e di esaminare apertamente tutte le questioni che si trovano davanti alla scena politica». Rivolgendosi pubblicamente ai cittadini croati, Josipovic ha precisato che tranne il partito della destra, il Partito croato del diritto di Daniel Srb, tutti gli altri partiti appoggiano l'ingresso della Croazia nell'Ue nonche' tutte le azioni indispensabili per la conclusione dei negoziati di adesione e ha aggiunto che proprio per questo si dovrebbe rinnovare e rafforzare l'Alleanza per l'Ue. E' indispensabile che il Governo spieghi ai cittadini quali sono i pregi dell'ingresso nell'Ue, ha detto il Presidente. «Quanto alle elezioni, il maggior numero di partiti vuole che sia definita chiaramente la data delle elezioni. Il maggior numero ritiene che le elezioni parlamentari devono svolgersi in autunno, mentre l'HDZ ne pensa diversamente» ha precisato Josipovic e ha aggiunto che la coalizione governativa vuole decidere la data delle elezioni dopo la conclusione dei negoziati di adesione all'Ue. Josipovic ha spiegato che hanno menzionato la fine dell'anno ma il maggior numero dei partiti ritiene che questo termine dovrebbe essere definito piu' chiaramente. Il capo dello stato croato ha sottolineato che i colloqui appena svolti «non hanno ne' vincitore ne' sconfitto» aggiungendo che questo non puo' ne' deve esserci e ha ringrazionato a tutti di aver risposto al suo invito di dialogo.
Queste quindi le posizioni dei partiti politici croati e questo l'impegno del presidente Josipovic che continua ad essere fedele alla sua politica e alle sue promesse elettorali: di essere garante della stabilita' del Paese ma anche dell'intera regione, di salvaguardare la Costituzione e il funzionamento delle istituzioni, garantire lo stato di diritto nonche' il rafforzamento della democrazia di un paese che si trova nell'ultimissima fase del suo ingresso nell'Ue, cosi' vicino eppure sempre ostacolato da condizioni europee da adempiere.
Ma tutto quello che accade nelle ultime settimane, come afferma anche il leader dell'opposizione, il presidente del Partito socialdemocratico Zoran Milanovic, e' sulla traccia di un evidente fatto: il Governo guidato da Jadranka Kosor e' legale, ma non piu' e in nessun modo e' legittimo. Come tale, nel senso puramente formale, forse puo' anche continuare a governare persino un intero anno, ma una tale decisione, afferma un commento del settimanale 'Nacional', rappresenterebbe il culmine di ignoranza dell'opinione pubblica e della democrazia. Inoltre, si afferma, il rinvio delle elezioni non soltanto non aiutera' a migliorare il reiting del partito governativo bensi' provochera' l'ulteriore compromettersi dell'HDZ e dei suoi alleati. Nessun dubbio che l'HDZ e' storicamente un partito forte e influente e sicuramente come tale restera' anche nel futuro poiche' attualmente, anche se richiesto dai cittadini che quasi quotidianamente manifestano in piazza, non esiste un gruppo politico alternativo del centro destra. Come ricorda l'articolo di 'Nacional', anche all'inizio del 2000 (quando l'opposizione per una sola volta ha sconfitto l'HDZ alle elezioni parlamentari, n.d.r.) l'Unione democratica croata ha vissuto una crisi drammatica e conflitti interni, il suo reiting e' sceso di meno del dieci percento, ma gia' alla fine del 2003 hanno vinto clamorosamente alle elezioni e da allora sono tornati al potere. Anche se l'ex premier croato, Ivo Sanader e' ormai il vero simbolo della corruzione in Croazia, un decennio fa aveva pulito piazzia nelle fila del suo partito eliminandolo dalle forze buie e malfamate. Attualmente pero', nella Croazia guidata dal successore dell'ex premier, dalla sua vice e mano destra Jadranka Kosor, regnano depressione economica e sociale ma anche profonda crisi politica. Dopo quasi otto anni del governo di HDZ l'evidente maggioranza dei cittadini croati vuole cambiamenti ed e' questo l'umore della nazione che anche oggi, sabato 12 marzo uscira' per le strade della capitale a manifetare contro il governo e chiedere elezioni anticipate annunciando gia' per sabato prossimo, 19 marzo le piu' grandi proteste finora in tutta Croazia.
Non fa piu' effetto nemmeno l'ultimo argomento dei governativi che le elezioni e l'instabilita' bloccheranno la conclusione dei negoziati di adesione. E poi c'e' sempre quello che secondo molti analisti e poltici potrebbe essere molto controproducente per quanto riguarda il referendum sull'adesione: se il referendum si svolgera' prima delle elezioni c'e' la seria minaccia che questo non sara' un voto a favore o contro l'ingresso nella famiglia europea bensi' un voto contro l'attuale governo. E come conclude il recentissimo comento di 'Nacional', in questo contesto, l'opposizione e' un fattore abbastanza marginale. Anche se, molto probabilmente, dopo le elezioni il governo passera' nelle mani della coalizione del centro sinistra, l'opposizione e' il cerchio piu' debole della catena che si stringe attorno il Governo. Se i cittadini non si fossero organizzati autonomamente, e almeno in modo indiretto dato voce alle reazioni degli imprenditori, di una parte dei sindacati e dello stesso presidente Josipovic, la premier Kosor avrebbe potuto indugiare con le elezioni parlamentari persino fino al febbraio del 2012. Ma tutto fa intuire che il tempo di cambiamenti e' sempre piu' vicino.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è la trascrizione della corrispondenza andata in onda sabato 12 marzo nel corso del notiziario.